di Pietro Tonti

Il 29 novembre 2017 nella notte a causa del vento è caduto “Re Fajone”. Il faggio più bello, più alto e più vecchio, vanto di Vastogitardi e del Molise. Aveva 500 anni. Viveva nel bel mezzo del bosco di Montedimezzo. ( come riporta con una nota tristissima su facebook l’Artista Donatella Capo). Monumento nazionale citato anche nel famoso libro dei fratelli Abete e nelle riviste specializzate. Era marcio al suo interno da diversi anni e un colpo di vento lo ha abbattuto. Lo storico faggio era meta di scolaresche e turisti da ogni dove che lo fotografavano e portavano con se un ricordo straordinario del nostro Molise. Sappiamo che in terra ogni cosa vivente ha un inizio e una fine. Certamente anche “Re Fajone” quale essere vivente era destinato prima o poi a terminare il suo ciclo di vita, ma in tanti nell’alto Molise si interrogano se, e cosa sia stato fatto, o meglio, cosa si sarebbe potuto fare per evitare questa fine, rallentarla o scongiurarla per il 2017.

In molti sono convinti che si poteva agire cercando di bloccarne il deterioramento. Si poteva procrastinare sicuramente la fine di questo albero monumentale, ma parrebbe che nulla sia stato messo in opera per evitarne la dipartita. Alcune specie arboree come “Re Fajone” vivono per parecchi secoli se non addirittura per millenni, età che per noi è quasi impossibile immaginare e quando si è di fronte ad esseri viventi così vecchi il primo sentimento che nasce è il rispetto.

Rispetto per organismi che sono stati e sono testimoni del tempo, di avvenimenti storici, culturali, sociali importanti o legati semplicemente alla vita quotidiana di tante generazioni umane.
Ovviamente, come accade per gli esseri umani, i vecchi alberi hanno spesso dei problemi di salute che, se sottovalutati, possono evolvere in situazioni sempre più critiche per l’albero e anche per ciò che lo circonda. Per salvaguardare “Re Fajone” cosa si sarebbe potuto fare?

Su un albero monumentale sono possibili vari tipi di cure, come ci informa il web con un approfondimento riguardante la cura degli alberi monumentali del Piemonte, regione che ha forse maggiore cura del proprio patrimonio forestale e una maggiore attenzione per i propri alberi secolari rispetto al Molise? Non ci esprimiamo su questo argomento, saranno gli esperti e gli addetti ai lavori a dare spiegazioni, ci limitiamo ad illustrare quanto mutuato da questa sintesi degli interventi saggi e necessari, nel momento in cui si riscontrano malattie su alberi di grande valenza monumentale e storica come il nostro “Re Fajone”.

Dendrochirurgia
Il problema più comune che si riscontra sui vecchi alberi sono le cosiddette “carie” del legno: si tratta di degradazioni, attuate da funghi, che possono portare al completo disfacimento del legno fino a determinare, nei casi estremi, la formazione di cavità all’interno del tronco o delle grosse branche. Esempio lampante proprio il caso di “Re Fajone”.
Questi funghi, diffusi in tutti gli ambienti forestali, sono quasi tutti “a mensola” e sono comuni su vecchie ceppaie nei boschi. I problemi causati da questi organismi sono di due tipi: da un lato essi, degradando il legno, possono compromettere più o meno fortemente la stabilità dell’albero o di alcune sue parti e, dall’altro, come conseguenza, possono creare situazioni pericolose per coloro che vivono in
prossimità degli alberi o che semplicemente si avvicinano ad essi per ammirarli. Ne consegue che, per difendere questi alberi e proteggere i cittadini, è necessario intervenire. Per tentare di arrestare la degradazione si ricorre alla dendrochirurgia cioè alla chirurgia applicata agli organi legnosi delle piante.  Generalmente si procede all’asportazione dei tessuti degradati e di una sottile porzione di quelli
immediatamente circostanti (che potrebbero essere “infetti”) e alla disinfezione, con prodotti fungicidi, della zona interessata dal taglio. Come nella chirurgia umana è necessario prestare molta attenzione a non asportare parti troppo consistenti di tessuti sani e comunque a non lesionarli. Queste operazioni sono infatti tra le più delicate, anche perché spesso sono condotte all’interno del fusto o di branche primarie e quindi di strutture portanti l’intero albero.

Potatura
Accanto alla dendrochirurgia vera e propria si ricorre praticamente sempre alle potature. Queste sono operazioni che consistono nel taglio di rami o branche vere e proprie; nell’arboricoltura sono normalmente effettuate per dare una forma di crescita migliore alla pianta e in città per contenere un eccessivo sviluppo (potatura di contenimento). Nel caso degli alberi monumentali siamo solitamente di fronte ad operazioni di taglio di parti morte o in pessime condizioni fitosanitarie: rami secchi o parti di branche in via di degradazione vengono eliminati per arrestare l’alterazione e per evitare che si propaghi a tutto l’albero (potatura di risanamento). In alcuni casi le potature vengono effettuate per stimolare la pianta a emettere nuovi getti (potatura di ringiovanimento), infatti avendo alleggerito la chioma arriva più luce.
In tutti i casi è ovviamente necessario disinfettare le superfici di taglio, in modo da evitare nuove infezioni. Alcune volte, oltre alla disinfezione, vengono applicati dei mastici, contenenti anch’essi fungicidi, per proteggere meglio le ferite. Altre volte, ma più raramente,
si applicano dei piccoli pezzi di lamiera. Quando la cavità interna ha uno sbocco all’esterno, su tronco o branche, si possono applicare delle reti per bloccare l’ingresso all’interno del tronco di materiale come le foglie. Con l’umidità questo materiale infatti si decompone favorendo lo sviluppo dei funghi. Alcune volte gli alberi, cresciuti ad esempio vicino a dei fabbricati, presentano uno sviluppo asimmetrico della chioma. In questo caso si procede a leggere potature che tendano a restituire la giusta forma all’albero (potatura di riequilibratura).

Messa in sicurezza
Come già accennato, i vecchi alberi possono presentare problemi di stabilità, dovuti a degradazioni interne in atto o a sviluppi asimmetrici con chioma troppo sviluppata in una direzione e così via. Talvolta però proprio questi sviluppi così “disordinati”, con ad esempio enormi
branche cresciute quasi orizzontalmente, sono caratteristiche peculiari degli alberi monumentali, per cui vale la pena tentare di conservare l’aspetto originario della pianta. È anche per questo motivo che alcune volte vengono posti dei supporti, vere e proprie stampelle, in modo da sostenere tali branche o comunque parte del tronco. Altre volte, branche che potrebbero spezzarsi per l’eccessivo sviluppo, o perché la
pianta, per la grande altezza, è sottoposta all’azione dei venti, vengono collegate fra loro, o direttamente al tronco, con dei tiranti, che assicurano così la stabilità della pianta.

Se nulla di tutto questo è stato fatto, probabilmente si è trattato di un “albericidio colposo”qualora la giurisprudenza, attraverso una Procura, come nel caso dell’uomo, dovesse formalizzare un capo di imputazione per una morte così dolorosa per il Molise e per l’intera umanità, privata irrimediabilmente di un rappresentante vegetale della storia degli ultimi 5 secoli.