di Pietro Tonti

Ci piacerebbe poter gioire appieno di come il resto del mondo apprezzi il nostro patrimonio culturale e paesaggistico, le nostre peculiarità enogastronomiche, come il riconoscimento della transumanza entrata nel patrimonio Unesco da qualche giorno.

Peccato che i molisani facciano difficoltà ad entusiasmarsi per un successo così strepitoso, data la realtà del quotidiano che sono costretti a vivere. Quel filo conduttore che dalle vacche della famiglia Colantuono giunge alla notorietà mondiale della transumanza, disegna un quadro del Molise fermo all’epoca dei tratturi, delle greggi, dove la tecnologia latita i paesi in cui sono rimasti solo anziani in un numero sempre decrescente; i giovani non ci sono più e le strade sono tornate ad essere le mulattiere dell’inizio novecento, senza manutenzione, franate, esondate, erose.

La ferrovia è quella del binario unico di fine ottocento, mai riammodernata in epoca recente, in attesa dei primi 20 chilometri di elettrificazione. Le filiere economiche del passato scomparse, il lavoro chimera per tutti, mentre la povertà aumenta di giorno in giorno.

Le attività economiche chiudono i battenti, la sanità ridotta a brandelli dove per raggiungere un presidio ospedaliero per la popolazione diventa rocambolesco e a rischio vita.

L’influenza delle regioni limitrofe da dove importiamo malavita organizzata, droga, spacciatori e ladri. Il tutto condito da una macchina amministrativa regionale, costosa, indebitata e incapace di risolvere i problemi nel breve medio termine.

Insomma, un disastro che riportiamo nell’attualità quotidianamente e a cui vorremmo si potesse porre rimedio, ma sappiamo che è tardi. E anche questo straordinario riconoscimento dell’Unesco ai tratturi appare alla stregua di un miraggio, di quell’evanescenza destinata a dissolversi nella realtà del deserto Molise.