Studiata su modelli animali la possibilità di intervenire farmacologicamente nei casi in cui esistano mutazioni genetiche che predispongono alla patologia

 Limitare con una terapia farmacologica lo sviluppo dell’aneurisma aortico nei portatori di varianti genetiche che predispongono a questa patologia. È la prospettiva aperta da uno studio condotto dal Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’I.R.C.C.S. Neuromed, diretto dal professor Giuseppe Lembo, e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Immunity.

L’aneurisma dell’aorta è una dilatazione della principale arteria del nostro organismo per la quale non esistono terapie mediche, ma solo interventi chirurgici, spesso in emergenza. Si sviluppa lentamente, aumentando di volume nel tempo fino al possibile cedimento della parete arteriosa. Una vera emergenza, dalla quale non è facile salvarsi: 8 persone su 10 colpite da rottura dell’aneurisma muoiono, la maggior parte prima di arrivare in un ospedale. E la componente genetica gioca un ruolo importante: circa il 20% dei pazienti ha avuto un caso analogo in famiglia. L’unica arma oggi a disposizione della medicina è la diagnosi precoce attraverso un’analisi ecografica fatta da un medico esperto. In questo contesto, la ricerca di nuove strade terapeutiche è prioritaria per salvare molte vite umane.

 

Sono proprio gli aspetti genetici al centro dello studio condotto dal Neuromed. Attraverso una serie di esperimenti su modelli animali, i ricercatori si sono concentrati su una proteina appartenente al gruppo delle citochine, il Fattore di crescita trasformante beta (TGF- β). La molecola costituisce un sistema di “segnalazione” che controlla la crescita, il movimento, l’attività e la morte delle cellule. “Una disfunzione genetica di questo sistema – dice la professoressa Daniela Carnevale, Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università Sapienza di Roma e Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale Neuromed – si   trova in alcune situazioni patologiche, come ad esempio la sindrome di Marfan, caratterizzate, tra gli altri elementi, proprio dallo sviluppo di aneurisma aortico. Noi abbiamo voluto studiare più approfonditamente il ruolo di questa via di segnalazione intervenendo sul gene Smad4, uno dei suoi componenti fondamentali”.

 

I ricercatori hanno così potuto vedere che il blocco del gene Smad4 porta all’attivazione di una molecola fondamentale nei processi infiammatori, l’Interleuchina 1 beta (IL-1β). A questo punto gli autori dello studio hanno neutralizzato quest’ultima con un anticorpo specifico. “I risultati – spiega Carnevale – sono stati molto incoraggianti: negli animali c’è stata una significativa protezione dall’aneurisma. Questo rafforza la prospettiva di prevenire gli aneurismi intervenendo farmacologicamente su quelle persone che hanno una alterazione genetica del sistema TGF- β. E l’anticorpo che abbiamo usato è già approvato clinicamente perché viene già impiegato nello studio internazionale CANTOS, di cui il nostro Dipartimento fa parte”.