La situazione emergenziale che si è venuta a determinare in Italia nelle ultime settimane a causa delle scosse di terremoto, dell’emergenza neve, della tragica slavina di Farindola (PE) e delle alluvioni che devastano vaste aree del centro-sud , necessita di risposte istituzionali nazionali adeguate, tempestive ed efficaci.

La macchina della Protezione Civile ha evidenziato atti di eroismo dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Alpino, delle Forze dell’Ordine e dei Volontari, ma i guasti prodotti dall’indebolimento delle istituzioni locali hanno creato un vuoto amministrativo che si somma alla ritirata dello Stato dal territorio con meno personale dell’ENEL, dell’ANAS o la soppressione del Corpo Forestale.

Quando terminerà l’emergenza, dopo aver ringraziato tutti coloro che si sono prodigati con spirito di sacrificio nelle operazioni di soccorso, sarà utile avviare una riflessione sulle scelte nefaste di questi anni dettate dall’agenda dell’austerità europea. Il diritto alla sicurezza del territorio, agli investimenti sulla prevenzione, alla dotazione organica essenziale e alla disponibilità di mezzi di soccorso adeguati in caso di necessità, non è un tema di cui ricordarsi nelle ore del pericolo ma nei mesi dell’ordinarietà, attivando provvedimenti e adottando misure a salvaguardia dell’incolumità della popolazione.

Per invertire l’agenda delle priorità sulla messa in sicurezza delle comunità locali, delle scuole e delle case, c’è bisogno preliminarmente di riaffermare il primato della vita delle persone rispetto ai tagli di bilancio nelle politiche pubbliche comunitarie, nazionali e regionali. Oramai nulla è più scontato quando si parla di diritti sociali.

Abbiamo assistito ad una resa culturale della sinistra che non è riuscita a fermare il pensiero egemone del pareggio di bilancio, del taglio dei servizi pubblici, della riduzione della funzione dello Stato e della progressiva privatizzazione di attività non mercificabili come la tutela della salute, l’istruzione, la previdenza, l’ambiente o i beni comuni. L’idea del mercato è passata nelle mente delle persone a tal punto che nessuna delle principali forze politiche nazionali trova nulla da ridire sul fatto che un lavoratore possa essere licenziato arbitrariamente senza giusta causa o giustificato motivo.

Si pensi ad un delegato sindacale eccessivamente vivace che chieda di mettere in sicurezza un reparto, una linea produttiva o un impianto, o ad un dipendente che solleciti il rispetto del Contratto di Lavoro o delle norme di legge, e ci si metta nei panni dell’insieme dei lavoratori di quell’azienda che assistono al licenziamento di chi ha provato a fare il proprio dovere e che se tutto va bene anche in caso di vittoria in giudizio dopo qualche anno si ritroverà disoccupato e con un risarcimento di 5/6 mila euro.

Qual è il messaggio che si trasmetterà se non quello di colpirne uno per educarne cento. Quale libertà sindacale, politica o di cittadinanza viene riconosciuta al lavoratore se i suoi diritti sono subordinati all’arbitrio, alla discrezionalità e alla convenienza dell’impresa ? Ciò che atterrisce è che la precarietà costruita nell’ultimo ventennio è talmente devastante che per il senso comune va bene anche l’abrogazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Ma che società costruiamo se il lavoro, da valore costituzionale, viene derubricato a merce?