di Valerio Malvezzi
Ma che strano. Dai recenti colloqui tra il nostro Governo e l’Europa, veniamo a sapere che il deficit italiano, che si prevedeva in miglioramento dello 0,1%, peggiorerà invece dello 0,7%. Appare paradossale che il Ministro Padoan affermi che il clima dei colloqui è positivo e che il debito nel 2015 si è stabilizzato e nel 2016 si ridurrà. Lo diceva anche l’anno scorso per il 2015. Ma chi ha ragione? Sul 2015 il Ministro dice una cosa non vera, perché il debito si è ulteriormente aggravato. Sul 2016, quali sono le reali previsioni?
Intanto, vi è una regola che vuole che i Paesi con un rapporto di debito rispetto al PIL maggiore del 60% debbano ridurre di 1/20 la parte in eccedenza. Ciò significa una politica di ulteriore rigore che, ovviamente, il nostro Governo non vorrebbe adottare. Ma il punto è un altro: qualcuno vi ha mai detto quale fondamento abbia tale regola? Nessuno. Nessuno scientifico, almeno. L’indicatore economico più utilizzato per definire lo stato di salute di una nazione è il rapporto Debito/PIL. Di per se è un parametro che esprime una percentuale, cioè quanto debito ho accumulato rispetto al PIL, ma il suo significato economico è piuttosto ambiguo.
Il debito è uno stock (un fondo); viene paragonato al PIL che invece rappresenta il flusso annuale sul reddito netto, calcolato anch’esso in maniera piuttosto misteriosa. Il rapporto Debito/PIL è una mera convenzione dell’economia neoclassica, dal momento che non esiste una teoria del debito pubblico, così come non esiste alcuna teoria che sia riuscita a dimostrare con un minimo di razionalità tecnica quand’è che un debito debba considerarsi eccessivo.
È stato sempre considerato eccessivo, in tutte le sue fasi: quando era inferiore al 40% negli anni Sessanta, quando era al 60% un decennio dopo, quando aveva superato il 120% nei primi anni novanta fino ad arrivare ai giorni nostri, dove ha oltrepassato il 130%. Peraltro, questa teoria neoclassica è la stessa che ha influenzato le scelte di politica economica di tutti i governi degli ultimi 30 anni, responsabili proprio dell’aumento del tanto temuto debito pubblico.
Ora, mentre il Governo italiano promette la crescita, l’agenzia di rating Fitch taglia le previsioni di crescita italiane da 1,3% a 1% per il 2016 e da 1,5% a 1,3% nel 2017. Anche le stime europee, previste a 1,7% nel 2016, sono riviste al ribasso a 1,5%. In conclusione, nessuno vuole ammettere che non è il rigore, il taglio degli investimenti pubblici e la politica di controllo del debito pubblico la cura, perché da anni, ogni anno, si rivela fallimentare. L’anno prossimo, sentiremo cantare, come nella canzone “L’anno che verrà” di Lucio Dalla: sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce anche gli uccelli faranno ritorno. Io lo scrivevo oltre un anno fa qui.