L’associazione nazionale delle imprese edili (Ance) ha presentato un esposto alla Commissione europea contestando l’aderenza delle nuove regole al diritto dell’Unione e chiedendo, di conseguenza, «di dar corso urgentemente alla procedura di infrazione» prevista dal Trattato.

Nel mirino dei costruttori ci sono soprattutto tre aspetti della nuova disciplina del subappalto delle opere pubbliche, entrata in vigore il 19 aprile 2016.

Il primo aspetto riguarda il tetto ai subaffidamenti, al momento individuato nel 30% dell’importo complessivo dei lavori. Per i costruttori imporre un tetto per legge è contrario alle direttive europee che regolano il settore. Per suffragare questa tesi l’esposto cita in particolare una sentenza della Corte di Giustizia pubblicata lo scorso 14 luglio (caso «Wroclaw»). Per i giudici europei, si ricorda nell’esposto, «la direttiva ammette il ricorso al subappalto, senza indicare limitazioni».

“ Ma non è questa la questione centrale – dice Umberto ULIANO – Presidente dell’Ance Molise. “Noi non siamo per il subappalto completamente liberalizzato. Tra un estremo e un altro si può trovare un punto di equilibrio».

Piuttosto sono altri due i punti più contestati dall’Ance.

Al primo posto c’è la scelta di assegnare alle stazioni appaltanti il compito di decidere, gara per gara, se autorizzare o meno, l’esecuzione di una parte di lavori in subappalto. «È una scelta contraria al principio di libera organizzazione dei fattori della produzione, che rischia di spazzare tutto il sistema – aggiunge il Presidente dell’Ance.

L’ultimo passaggio riguarda l’obbligo di indicare tre nomi di possibili subappaltatori con l’offerta. Qui l’obiezione riguarda i tempi, molto anticipati rispetto alla fase di cantiere. Ma anche i possibili condizionamenti che potrebbero arrivare da imprese specializzate in un particolare tipo di lavorazione. «In alcune gare si rischia che siano i subappaltatori a decidere chi può partecipare o meno», sottolinea Uliano.

Una parziale modifica di questa impostazione arriverà con il decreto correttivo al Codice che il governo ha licenziato in prima lettura a fine febbraio e che l’altro ieri è arrivato in Parlamento per il giro di pareri.

Il provvedimento confina il divieto di subbappaltare più del 30% delle opere solo ai lavori prevalenti in cantiere (come accadeva prima della riforma) e lascia alle stazioni appaltanti il compito di decidere se chiedere o meno la «terna» dei subaffidatari con l’offerta. Resta però inalterato il punto-chiave contestato dai costruttori: la scelta sul subappalto «gara per gara». Difficile, dunque, che senza ulteriori aggiustamenti l’esposto venga ritirato.