di Pietro Tonti

Il dibattito sull’aggregazione del Molise in una macroregione a statuto speciale composta da Lazio, Roma Capitale, Abruzzo e Molise, tiene banco da alcuni giorni sui media e sui principali quotidiani on-line. Pier Ernesto Irmici, già Consigliere regionale Pdl del Lazio, per l’amministrazione Polverini ha depositato, qualche giorno fa, la proposta di legge popolare firmata da 16 cittadini.

Non possiamo esimerci da alcune riflessioni “ontologiche” sulle motivazioni per riunire in unica entità tre regioni, in un disegno che ritorna spesso alla ribalta e non si può più ignorarlo come ipotesi remota.

Siamo convinti che tra una paio di legislature, la regione Molise potrebbe scomparire assorbita da un contesto molto più ampio per tante ragioni, soprattutto per la spesa enorme nella gestione di una entità marginale rispetto al resto d’Italia con i suoi poco meno di 300.000 abitanti.

Reggere il Consiglio regionale di Palazzo Moffa costa ai contribuenti molisani, per solo dodici mesi, tra entrate e uscite, la bellezza di 8 milioni e 358 mila euro.

Del Bilancio regionale, quindi, della capacità annuale di far fronte alle esigenze dei molisani ben l’86% viene speso nel segmento sanitario, il resto – le briciole –  in programmazione per i restanti settori, tra cui Marketing territoriale, Turismo, ordinaria amministrazione e Trasporti.

In un momento di forte recessione, in seguito alle imposizioni della «spending review»  diventata un ingrediente abituale delle misure di finanza pubblica a partire dal 2011, oggi possiamo affermare che il Molise ha subito una regressione palpabile dal cittadino senza rimedi in ogni azione quotidiana.

Dalla sanità ridotta ed evanescente nell’efficienza, con i tagli degli ospedali e una riorganizzazione che ancora stenta a far sentire quella protezione necessaria ai molisani, al fine di garantire in caso di bisogno, la percezione di cure adeguate e di guarigione.

Dalla crisi industriale, alla conseguenza della perdita dei posti di lavoro; alla cassa integrazione e alla incapacità di indebitamento per le famiglie.

Dal Commercio all’artigianato in profonda recessione; dal fallimento delle aziende edili, all’impossibilità di far fronte alle tasse esose che questa regione chiede ai cittadini per coprire i vecchi debiti sanitari.

Ed ancora, trasporti da terzo mondo ferroviari, strade divenute negli anni mulattiere e il dissesto idrogeologico esasperante che accelera il processo di spopolamento e desertificazione delle aree interne, spesso irraggiungibili per le enormi frane, senza la capacità economica di risanarle.

A queste lacune va aggiunta l’insostenibilità finanziaria per puntare su questa regione per lo sviluppo culturale, turistico e sul marketing territoriale.

Una regione ridotta a basarsi su sagre e festicciole di piazza da quattro soldi per dare quella parvenza di movimento culturale annuale.

Insomma, la deriva di una regione è sotto gli occhi di tutti. Voler puntare il dito sugli amministratori del passato e del presente crediamo sia riduttivo, lasciamo le discussioni sull’argomento lontane, nell’agone politico del momento.

La nostra considerazione scevra da condizionamenti, la rivolgiamo in direzione diversa, a quando l’Italia non era ancora succube dei diktat dell’Europa e dell’euro, quando i trasferimenti dello Stato erano sufficienti a far sopravvivere anche il piccolo Molise.

Con la politica balorda, lacrime e sangue dal governo Monti fino ai governi attuali, si è generato un processo di indebolimento generale del tessuto economico e sociale dell’Italia, il piccolo Molise, fanalino di coda in tutto, nel contesto nazionale, ha subito più di altre regioni la perdita dei servizi essenziali per garantire la sopravvivenza ai sui abitanti.

In questo quadro funesto, ma veritiero, comunque non si può accettare la perdita di identità conquistata 54 anni fa con la scissione dall’Abruzzo e la creazione della piccola entità Molise.

Sarà puro sciovinismo, ma il pensiero di scomparire, integrati in un contesto di macroregione psicologicamente non è accettabile. Si passerebbe da una condizione di diretto rapporto con gli amministratori regionali, come quello attuale, in cui tutti si conoscono e se si ha una difficoltà, giungere nei piani alti delle amministrazioni risulta facile e accessibile a tutti in pochissimo tempo.

La situazione in previsione macroregionale verrebbe totalmente stravolta, si avrebbe una estrema lontananza dei cittadini dai palazzi del potere. Se riflettiamo sul fatto che un cittadino di Roma capitale, fissando un appuntamento con un assessore comunale, potrà essere ricevuto dopo  24 mesi, figuriamoci per una macroregione, quali potrebbero essere i tempi per dialogare e far valere le proprie ragioni, avendo l’attenzione di un assessore regionale!

Poi, qualcuno potrà rispondere che l’iniquità attuale del potere decisionale nel Molise, la  dispendiosità dell’apparato regionale, non può incidere positivamente sullo sviluppo futuro di una piccola terra come la nostra. Quante cose vengono dissentite nel Molise, ignorate e rimandate quindi, nonostante la diretta vicinanza agli amministratori?

A questo punto si potrebbe pensare positivamente ad una aggregazione macroregionale?

Certamente, ai molisani scettici nella continuità  di entità Molise con la sua indipendenza, non c’è da biasimarli.