di Pietro Tonti
Terzo giorno di restrizioni alla quotidianità esistenziale anche in Molise. Lo scenario apocalittico che si presenta nelle sua drammatica realtà ci riporta a qualcosa di inverosimile.
Siamo diventati inconsapevolmente attori di un film che non avremmo mai voluto vivere direttamente, avremmo fatto zapping seduti comodamente in poltrona al canale televisivo che di sera ci avrebbe proposto in tempi non sospetti la pellicola: “Covid – 19 pandemia 2020”.
Si, saremmo usciti mentalmente e fisicamente con il telecomando da quell’angoscia che film di tale genere incutono nell’animo umano e mettono in discussione la stessa sopravvivenza sulla terra. Inconcepibile la realtà per chi come la nostra generazione è abituata a programmare viaggi, ad avere rapporti sociali h24 e uscire a tutte le ore; fare tardi la sera frequentando amici e parenti senza alcuna limitazione, ma alienandoci negli stessi rapporti seduti uno di fronte all’altro senza parlare, con il cellulare sui social a chattare con amici virtuali che nemmeno conosciamo di persona. In questa contraddizione dei tempi moderni ci troviamo catapultati in uno scenario da guerra batteriologica.
In tanti stanno affrontando questo periodo come una maledizione che necessariamente deve riportare consapevolezza di fragilità nell’uomo,da troppo tempo al centro di un universo giudaico /cristiano che ci esalta quali padroni assoluti di questo pianeta e con l’invenzione della vita eterna, ci ha offerto la speranza che non moriremo mai, resusciteremo prima o poi.
L’idea ottimistica che dal male, passando per la cura si guarisce è intriso tutto l’occidente a tutti i livelli, come afferma il filosofo contemporaneo Umberto Galimberti. E’ quando questa convinzione viene meno, in quanto al male non vi è una cura e quindi guarigione come nei casi di coronavirus che il sistema mentale e le nostre convinzioni vengono infrante.
Non vi sono cure ancora adatte e se l’organismo reagisce è bene, altrimenti si può morire come pesci fuor d’acqua, il nemico annienta i polmoni impedendoli di svolgere la loro funzione, si muore soffocati con una polmonite interstiziale.
Da buoni cristiani possiamo solo sperare nella vita eterna? No, dobbiamo essere bravi, tolleranti e comprendere che la nostra esistenza è cambiata, sarà così per i prossimi mesi, non settimane. In Cina oggi è il quarantanovesimo giorno di quarantena per Wuhan e ancora il virus non è debellato, tutti girano con mascherine e vivono in trincea limitando al minimo i rapporti umani.
Ci aspetta un lungo periodo di costrizione delle abitudini consolidate, ma se questi sacrifici devono servire a salvare anche solo una vita umana ben venga. Abbiamo il web, i social rispetto alla peste di manzoniana memoria, siamo fortunati ad avere la tecnologia che in meno di cento anni ha rivoluzionato millenni di privazioni dell’uomo.
La tecnologia ci ha reso più fragili e dipendenti? Forse. E’ il momento di scoprirlo. E’ il momento di stringerci virtualmente, impossibilitati a farlo di persona. E’ il momento di annientare il nichilismo che da oltre due secoli campeggia nella filosofia moderna non vedendo prospettive per il futuro che possano dare risposte al motivo della nostra presenza su questo pianeta.
Sarà questa l’occasione di apprendere una nuova consapevolezza, quella della vulnerabilità, della labilità dell’uomo, che possa farci riscoprire quei valori umani, nel senso più antico, quella concezione greca, base della società di un tempo lontanissimo ma ancora attuale, per cui la bellezza è necessariamente legata alla bontà. Abbiamo tempo per guardarci dentro e da questa prova, da questa esperienza ne usciremo tutti un po’ migliorati.