IL KOLCHOZ DEL VOLGA MOLISANO. Neppure Giovannino Guareschi nel suo racconto “il Kolchoz” di “Don Camillo e il suo gregge” avrebbe mai immaginato che le gesta di Peppone, alle prese con il trattore ricevuto in regalo dalla Russia e che si rifiutava di partire, sarebbe stato oggetto di magistrale reinterpretazione in chiave moderna sulle sponde del Biferno.
Nella bucolica scena sono comparsi: nella parte del trattore il treno ATR 220 tr detto “Swing”; nella parte di Peppone, il capotreno capo abusivo detto Presidente della Regione pro tempore; nella parte dello Smilzo, il vice capotreno abusivo detto assessore della Regione Molise.
Peppone e lo Smilzo di contrada Selvapiana, dopo essersi infilati nell’opera del secolo, tal “metropolitana leggera”, si accorgono che ristrutturare le stazioni tra Matrice e Bojano non è esattamente nelle esigenze degli amministrati, i quali forse avrebbero maggior beneficio dall’elettrificazione della rete (che invece nel progetto è posta in ultimo).
Ordunque si attrezzano per risollevare le sorti della decaduta popolarità inscenando un siparietto in pompa magna a beneficio della stampa. Ad agevolare il compito giungono provvidenziali 95 milioni di euro che il Governo, bontà sua, decide di regalare all’amena Regione per ripianare i debiti contratti.
La pioggia di sonante danaro viene infrattata repentinamente dalla Azienda di trasporti che per ringraziare del gentil pensiero ricambia con uno Swing di fabbricazione polacca (pur sempre oltrecortina è) e la promessa di altri due con cadenza da era geologica. È così che i due, con elmo di Scipio cinta la testa, si presentano in stazione per presentare il radioso dono, simbolo di pace e fratellanza, al popolo molisano.
Tagli di nastro, suono di fanfara ed al fischio di un vero capotreno (si, ce n’era uno vero)…tutti a bordo si parte!!! Nel microviaggio sino alle polle del fiume sacro si discorre della avanzata tecnica costruttiva del mezzo sovietico (o giù di lì) ed i due trovano anche il tempo per stupire i presenti con acrobazie linguistiche da capogiro.
Tutto scintillante pulito e quasi tenero il mezzo ferroviario acconsente ad essere attore comprimario della scena mediatica nella quale gli altri due, consapevoli di rappresentare una commedia, ne inanellano una dietro l’altra.
Definiscono “nome volgare” (leggasi nel senso del volgo) l’appellativo metropolitana leggera, ne invertono inopinatamente le priorità, ora divenuta centrale la necessità di elettrificazione e favoleggiano di approdi comodi in terra romana e di viaggio confortevole per i pendolari con il nuovo, singolo, mezzo avuto in dote.
Sarà stata questa bramosia di spettacolo oppure solo il fatto che il tutto era notoriamente condito di un palese nulla cosmico, ma nel volgere di una nottata il microviaggio di gala si trasforma nella debacle in stile colossal cinematografico e tutto crolla scricchiolando sotto il peso dei disastri, quelli veri, che attanagliano la rete ferroviaria e che non vengono certo risolti con l’avanspettacolo.
Il poderoso mezzo dal giorno successivo non ne vuol più sapere di fare il “suo porco lavoro” e in due giorni rifila sole a destra e manca: il tubo dell’olio, l’aria condizionata, l’arranco sull’erta strada ferrata montana, le prese elettriche ad uso contorsionista…insomma la macchina della comunicazione fa estrema difficoltà a tener testa al mezzo bolscevico che si ostina a far le bizze.
Così, in quel lembo di terra dove il sole picchia sulle teste tanto da far rinsavire i folli, le storie dei treni finiscono per intrecciarsi con le vicende degli individui che tra proclami e incapacità si ritrovano in racconti al limite della realtà ed oltre la fantasia.