Nel 44° anniversario della rinascita al Cielo di Padre Antonio Fiorante, missionario di Civitanova del Sannio in Africa
Il tuo martirio, il nostro guadagno!
di Luigi Fantini
Nel 1934 a Civitanova del Sannio, all’età di 9 anni, un giovanotto, spensierato e dedito al gioco con i propri amici, fu sobbalzato e spinto dalla forza di ritorno di una grossolana carrozza, e precipitato giù dal muro a ridosso della villa comunale, in un volo di circa tredici metri. La frattura a un ginocchio, la ferita al capo e un mal di testa che, da quel giorno, segnarono perennemente gli anni seguenti della sua vita, furono le conseguenze di quella brutta caduta, sebbene restò miracolosamente in vita, circostanza questa che, oggi, ci lascia evidentemente dire che si trattò di un segno in cui, a chiare lettere, era inscritta la missione che Dio gli aveva e ci aveva preparato: a lui di seminare, a noi, popolo di Dio, di raccogliere i suoi insegnamenti per contribuire alla costruzione del Regno.
Costui era Padre Antonio Fiorante, missionario comboniano natio di questa terra il 15 ottobre del 1925 e barbaramente ucciso a Pakwach (Uganda) la notte del 3 maggio del 1979. Tanto ci ricorda Domenico Cardarelli, responsabile del bollettino parrocchiale di Civitanova del Sannio, nel rito introduttivo della santa messa in suo ricordo, celebrata il 3 maggio 2019, alle ore 19,00, nella chiesa Cattedrale intitolata a San Silvestro Papa, alla presenza di Sua Eccellenza il Vescovo di Trivento e nostro Pastore, Mons. Claudio Palumbo, e dei sacerdoti concelebranti, don Mauro Di Domenica della Comunità di Bagnoli del Trigno, don Gino D’Ovidio della Comunità di Duronia, e del nostro parroco don Pietro Monaco.
Padre Antonio fu battezzato nella Chiesa di San Silvestro Papa l’8 novembre del 1925 dal Canonico Emilio Di Tomaso e cresimato il 3 giugno 1934 da Monsignor Giovanni Giorgis, Vescovo di Trivento. A Civitanova frequentò le scuole elementari, i tre anni di scuola media nel Seminario di Sulmona, il ginnasio nella Scuola Apostolica dei Padri Comboniani di Brescia e i due anni di noviziato a Firenze, dove emise i primi voti religiosi il 7 giugno 1944. Continuò gli studi a Venegono Superiore (Varese) dove emise i voti perpetui, consacrando per sempre la sua vita al Signore il 23 settembre 1949. Fu ordinato Sacerdote nel Duomo di Milano dal Cardinale Schuster il 3 giugno 1950 e, dopo cinque giorni, celebrò la sua prima Messa solenne nella Chiesa di San Silvestro Papa, nel suo paese natale.
Alla fine del 1953, finalmente la sognata Africa, partì missionario per il Bahr el Ghazar (Sudan). Passò quindi ad Angal (Uganda) nella diocesi di Arua. Attivissimo e infaticabile lavoratore, fondò la Missione di Parombo, dove fu parroco per dieci anni; lo era da tre a Pakwach, quando mani assassine misero fine alla sua esistenza terrena.
Alle 7 del mattino del 4 maggio 1979 le suore della Missione, contrariamente al solito, trovarono la chiesa ancora chiusa. Fatto strano, in quanto i missionari erano mattinieri. Trovarono la porta d’ingresso della casa dei padri spalancata e così pure tutte le porte interne. Entrate nella stanza di Padre Fiorante, lo trovarono supino a terra, nudo, con una corda legata (non stretta) al collo, una ferita all’orecchio e una sulla tempia opposta (segni di una pallottola entrata dall’orecchio e uscita dall’altra parte). La faccia era bluastra, senza tracce di sangue fuori. Sulla schiena vi erano segni di colpi, presumibilmente era stato colpito con scarponi o col fucile, il ventre era gonfio. Non vi erano altri segni di percosse. La corda era legata ad una gamba del letto.
Padre Silvio Dal Maso, suo compagno di missione, era seduto per terra, con la faccia rivolta in alto, coperto solo da una maglietta. Gli avevano legato i piedi con lo spago. Aveva una ferita di arma da fuoco che attraversava il collo da un lato all’altro; aveva perso molto sangue e non aveva altre ferite. Nella mano sinistra stringeva il rosario.
E’ così che l’amato Padre Fiorante, unitamente a Padre Silvio, ha riconsegnato la sua esistenza nelle mani del Padre e ha consegnato alla sua gente i fasti di una fede luminosa e di una incessante laboriosità spesa a servizio dei più deboli e dei disagiati. Proverbiali restano il sorriso, la solarità e l’ironia che, pur nelle avversità, hanno sempre contraddistinto la sua persona nel rapporto d’amicizia con il prossimo tanto che, per stare alle parole dello scrittore A. De La Tour Chambly, <<Due amici non s’amano nello stesso modo: ce n’è uno che bacia, e l’altro che non fa che porgere la guancia>>.
Grazie Padre Antonio della guancia che, tante e tante volte, avrai offerto nel quotidiano annuncio della fede sino al dono del sangue che, oggi (come ben ci ha ricordato il Vescovo Palumbo nella profonda e compiuta omelia in tuo ricordo), a imitazione del martirio del Cristo, profuma e irradia nei cuori l’eco della tua santità di fatto.
Per la fede in Dio tu hai compiuto ciò che, Nelson Mandela, realizzò nel sociale <<Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. E’ un ideale che spero di vedere realizzato, se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire>>.
E il valore della sofferenza rappresenta per tutti noi il tuo testamento spirituale: <<Mamma amatissima, ammiro la tua fortezza d’animo fra le prove che Dio ti ha mandato quando, forse, non te lo aspettavi. Già ti dissi che Dio ha un modo di trattare coloro che Egli ama tutto diverso da quello che usano gli uomini. I santi avevano paura che il Signore fosse adirato con essi quando li trattava troppo bene, quando le loro faccende andavano troppo bene. Il Signore sa adattarsi molto bene ai vari soggetti che lo servono; se sono ancora bambini nel suo servizio li nutre di caramelle, quando invece sono abbastanza robusti li nutre di cibi più sostanziosi per la vita eterna. Per quanto grandi possano sembrare le prove che il Signore ci manda, certamente non supereranno le nostre forze, purché si chieda aiuto con la preghiera al Signore. Egli ci conosce molto bene come pure conosce le nostre forze e in proporzione a esse proporziona le croci che ci manda. Ma finché ami Dio, anche fra le più grandi croci e dolori, sarai la più felice di questo mondo, perché solo Dio è la nostra piena, vera gioia. In qualunque stato di vita la sofferenza non manca mai, si può dire che è il pane quotidiano d’ogni uomo. Dio ci vuole angeli, ma ci ha lasciati uomini simili, ugualissimi a tutti gli altri, con le loro miserie e le loro passioni prepotenti. Il Signore è dalla nostra parte, basta rivolgergli uno sguardo ed Egli è subito con noi, per aiutarci a vivere come Egli desidera>>.
Scriveva J. De Saint Amand <<Mentre Ignazio di Lojola stava per morire, i discepoli gli domandarono: “E a noi, padre, che ci augurate?” Il fondatore dell’ordine dei gesuiti rispose “Vi auguro persecuzioni”. In arte come in religione c’è tutto da guadagnare a essere perseguitati>>. Orbene: a misura della nostra fede, la sofferenza ci sarà d’intralcio o di diletto dato che, come asseriva F. Dostoiewsky <<L’uomo è infelice perché non sa che è felice; chi lo saprà sarà felice nel medesimo istante>>.