Malerba del Politecnico di Milano: “il cemento nuovo su cemento vecchio e deteriorato è come la saliva sulle ferite, pulisce, ma non disinfetta”.

di Alessia Tonti

Lo stato di avanzato degrado del Viadotto Gamberale sulla Trignina all’altezza di Chiauci evidenziato sui social da Giuseppe Gamberale desta preoccupazioni serie e giustificate nella popolazione molisana.

Giustamente, tale realtà di deterioramento del cemento armato precompresso, divelto in più punti e precipitato alla base di alcuni pilastri, con i ferri in evidenza arrugginiti lungo le pareti delle strutture portanti, alte fino 95 metri, hanno scaturito centinaia di commenti allarmistici e di evidenza sui social,  di parallelo tra la tragedia di Genova e quello che potrebbe accadere lungo un viadotto molisano.

I tecnici dell’A.N.A.S. hanno già provveduto ad appaltare i lavori di straordinaria manutenzione per questo viadotto, riguardanti i pilastri, travi e i dispositivi antisismici in base alle nuove normative. Tali lavori per circa 5 milioni di euro di investimenti, inizieranno in primavera 2019 e riguarderanno anche altri viadotti a rischio, più bassi per l’altezza dei piloni rispetto al Gamberale, ma degradati ugualmente. Le domande che sorgono spontanee: I lavori di manutenzione saranno sufficienti a garantire l’incolumità di chi vi transita nel tempo, quindi la stabilità al passaggio di mezzi pesanti?

Il cemento negli anni si sgretola o mantiene quelle caratteristiche di elasticità iniziali, su cui le opere viarie sono state progettate?

Domande giuste a cui non è facile dare una risposta eloquente.

I pilastri del viadotto Gamberale oggi

Cerchiamo di fare luce sui nostri timori, sono fondati o no?

Mutuiamo alcuni tratti di un articolo eloquente, mutuato dal quotidiano on-line sud senese che può illuminarci e farci riflettere:

<<Tra le considerazioni e le ipotesi  lette in questi giorni sul crollo del Ponte Morandi a Genova c’è anche quella che il problema fosse proprio nel progetto e nell’architettura di Riccardo Morandi, che ha disegnato e realizzato “opere caratterizzate da disequilibrio, precarietà, instabilità, artificio e disgrazia”, portando a sostegno di tale tesi il fatto che nel ’64 un ponte gemello di quello di Genova sempre di Morandi, crollò in Venezuela (Lago Maracaibo), per l’impatto di una nave cisterna che vi stava passando sotto…  In quel caso però ci fu appunto un impatto.

A Genova no. A Genova sembra abbiano ceduto i “tiranti” in cemento armato precompresso.

Ci sono testimoni che dicono di aver assistito al momento in cui si sono spezzati in due, facendo poi cadere la carreggiata… Ecco se davvero la causa del crollo fosse nelle scelte progettuali e tecniche di Morandi, nella tragedia immane che ciò ha comportato, sarebbe comunque l’ipotesi migliore.

Perché basterebbe chiudere e mettere in sicurezza tutti i ponti realizzati da Morandi con quello stesso tipo di tecnica. Ma forse non è così.

O per meglio dire, forse, la tecnica-Morandi, ammesso che sia fallace, non spiega tutto. E’ vero che il Ponte di Genova era in manutenzione perenne, perché fin dall’inizio aveva mostrato delle criticità, come un certo ondulamento della carreggiata dovuto – pare – a calcoli non perfetti sull’assestamento e la dilatazione dei materiali e più d’uno, anche tra gli esperti ne aveva preconizzato il collasso e il crollo.

Ma è altrettanto vero che negli ultimi anni sono crollati parecchi ponti e viadotti, da nord a sud, da est a ovest, in tutta la penisola.

E non tutti erano stati progettati da Riccardo Morandi. I terremoti come quello dell’Irpinia nel 1980, quello del ’97 in Umbria e Marche, quello de l’Aquila del 2009, quelli del 2016 ancora nel centro Italia (Amatrice, Norcia, Accumoli ecc…) parecchi li hanno indeboliti, compromessi… E c’è chi sostiene che molti viadotti, anche quelli delle autostrade, sono arrivati vicino alla scadenza del ciclo naturale di vita, perché le opere in cemento armato non sono eterne e si deteriorano e spesso crollano…

Tutti quelli esistenti nelle aree colpite dai terremoti sono ormai strutture a rischio. Il terremoto per i ponti è una tremenda prova da sforzo.  Alcuni non ne reggerebbero un’altra.

Lo dice gente come Carlo Malerba, docente al Politecnico di Milano, il quale fa notare che anche il tempo (gli anni), il maltempo (le frane, le alluvioni, le bombe d’acqua..), il mare e l’aria salmastra fanno anch’essi opera di corrosione, lenta ma inesorabile, del ferro e del cemento.

In Sicilia sono decine i viadotti che mostrano segni preoccupanti di decadimento, qualcuno è già venuto giù. In Lombardia, nel 2016 ne è crollato uno nei pressi di Lecco. Altri sono crollati o sono stati chiusi per precauzione nelle Marche, soprattutto nella zona franosa di Ancona. Altri ancora nel Basento tra Puglia e Lucania…

In Toscana c’è stato il crollo del ponte a nove luci sul fiume Orcia nel 2012, con gravi ripercussioni sul traffico per la zona di Radicofani e l’Amiata. Ad Orvieto il ponte dell’Adunata sul fiume Paglia è stato oggetto di interventi consistenti di manutenzione dopo la grande alluvione, sempre del 2012… Il problema dunque non è solo Morandi.

 E anche la manutenzione spesso non basta, perché “il cemento nuovo su cemento vecchio e deteriorato è come la saliva sulle ferite, pulisce, ma non disinfetta. I piloni tarlati restano tarlati… ” (sempre Malerba che parla).  

La riprova di ciò è proprio il crollo di Genova che era sotto osservazione e in manutenzione. C’erano lavori in corso quando il 14 agosto è venuto giù…>>.

Ritornando in Molise, alla luce di quanto le preoccupazioni degli addetti ai lavori siano fondate, si sommano quelle dei cittadini.  Alla notizia dell’avvio dei lavori in primavera sui viadotti a rischio, sono seguiti altri allarmi sempre sui social, di persone che sostengono che fino in primavera potrebbe accadere l’irreparabile, con la consapevolezza provata, in una Italia che compie falli e si perpetrano tragedie ampiamente annunciate, è difficile credere alle affermazioni anche di tecnici qualificati. Come dare torto a chi la pensa in questo modo?

In questo caso, con i mezzi tecnici a disposizione degli ingegneri dell’A.N.A.S. possiamo esprimere ottimismo, augurandoci che nel frattempo il padreterno sia clemente con il nostro territorio e ci tenga lontano da terremoti di forte magnitudo che potrebbero indebolire le già precarie strutture viarie, non solo sulla Trignina, ma anche e soprattutto sul tanto vituperato viadotto sul lago del Liscione a Guardialfiera, mai collaudato.

Alla luce delle affermazioni di un esperto come Malerba, vale la pena spendere denaro pubblico ancora per leccare le ferite inferte dal tempo sui viadotti a rischio? Non è alta la probabilità che questi interventi non siano altro che accanimento terapeutico inutile, mentre il malato muore?

Se così fosse, converrebbe abbattere i viadotti a rischio, se i piloni tarlati, restano tarlati, quale scuola di pensiero si muove nell’esatto contrario, investendo per dare quella parvenza di stabilità a viadotti che stabili non sono più?

Per quale motivo non si decide di abbattere e ricostruire con tecniche moderne, come sta avvenendo negli Stati Uniti, dove i viadotti in cemento armato sono già da tempo sostituiti con quelli in acciaio inossidabile?

Qui è facile dare risposte: denaro, investimenti ingenti, dove trovarli? Come abbattere tutti i viadotti a rischio in mezza Italia e ricostruirli?

Volere politico è potere, partiamo dalla prevenzione e chiediamo all’Europa i giusti finanziamenti.

La risultanza di oggi, i cittadini come al solito vedono giusto e le paure restano alte come i viadotti che quotidianamente percorriamo, ed ancora una volta, senza sicurezza, affidiamo le nostre misere vite alla sorte, alla roulette russa di un Molise dai terremoti sempre in agguato, dai viadotti non collaudati, da ponti estremamente deteriorati, sperando che quel Dio a cui ci rivolgiamo facendoci il segno della Croce ogni mattina, sia clemente con le nostre vite e non ci seppellisca, all’improvviso sotto un cumulo di macerie.