Caso Unilever – Conviene chiudere Pozzilli anche se i costi di produzione sono più bassi rispetto a Casalpusterlengo. I molisani a bassa rettività sociale sono più gestibili.

di Galileo Casimiro

Sulla paventata chiusura della Unilever a Pozzilli, bisogna fare una premessa, quando una multinazionale decide un percorso questo viene da lontano.

Oggi con il timore della chiusura della Unilever bisogna considerare che gli stabilimenti industriali anche quelli di Unilever risentono della globalizzazione e la chiusura delle industrie è una conseguenza di un momento storico di forte crisi anche per questa azienda.

I costi industriali per l’Unilever di Pozzilli hanno sempre permesso una produzione di vantaggio, persino paragonandola all’Unilever di Casalpusterlengo, dove si stanno trasferendo delle linee di produzione da Pozzilli. La logica direbbe, chiudiamo Casalpusterlengo e puntiamo tutto su Pozzilli, visto che la produzione ci costa di meno, invece no.

Quale potrebbe essere il fattore determinante a questo punto, da aver fatto decidere i vertici aziendali a chiudere progressivamente Pozzilli?

La bassa reattività sociale dei molisani, rispetto a regioni del nord molto più uniti, compatti e agguerriti. Abbiamo già un esempio calzante su questo. A Sanguineto in provincia di Verona la probabile chiusura dell’Unilever ha scatenato  immediatamente scioperi ad oltranza delle sigle sindacali, fino a quando il presidente della regione Veneto Luca Zaia, nell’aprile scorso non ha convocato un vertice con l’azienda per trovare una soluzione al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, infatti nel dicembre scorso, un’azienda terza  ha rilevato la produzione, garantendola per i prossimi dieci anni con un ottimo piano industriale.

Da noi i sindacati ancora non indicono uno sciopero, ci sono state indecisioni sul da farsi. Si attende questo incontro con la dirigenza il 21 gennaio per un piano industriale, per poi agire? I segnali negativi ci sono tutti oramai da mesi, ambiguità nelle risposte ai sindacati; la riunione con la dirigenza per il piano industriale che normalmente si tiene nel mese di novembre, spostata a gennaio; una linea di produzione trasferita a Lodi e le giuste preoccupazioni sul futuro dell’azienda a Pozzilli sono più che fondate.

Oggi assistiamo alla finezza del linguaggio, dove il termine delocalizzazione per l’Unilever viene sostituito con allocazione delle produzioni, vale a dire non si trasferisce l’industria, ma viene svilita traslocando le linee in altre sedi, tutto questo per rendere più digeribile la pillola della chiusura, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, l’Unilever si avvia ad una inesorabile disfatta.

I sindacati hanno avuto tempo per osservare, studiare le anomalie che vengono dalla dirigenza ed è il momento di agire. La politica cosa fa? Quella regionale con Micone e Di Lucente scarica le colpe su Mazzuto Assessore al Lavoro, che potrebbe far leva su Salvini per evitare il disastro Unilever.

Il presidente Toma attende un tavolo di concertazione, che i sindacati dovranno indire dopo il 21 gennaio. I parlamentari molisani tacciono e oltre alla bassa reattività sociale dei molisani per le decisioni dei vertici Unilever, incide anche in maniera massiccia l’inerzia di tutti.