STELLANTIS, DUE MONDI: 13 MILIARDI AGLI USA, RINVII IN MOLISE
L’Italia retrocede nella strategia industriale del gruppo: Termoli rinviata di due anni, con conseguenze pesanti sull’occupazione e la fiducia del territorio.
di Pietro Tonti
“Quando il futuro si costruisce altrove, il rischio è che da noi restino solo le rovine delle promesse.”
Due velocità, due mondi
Mentre Stellantis annuncia negli Stati Uniti un investimento colossale da 13 miliardi di dollari, con l’obiettivo di aumentare la produzione del 50%, lanciare cinque nuovi modelli e creare oltre 5.000 posti di lavoro, in Italia la rotta è tutt’altra.
Lo stabilimento di Termoli, fiore all’occhiello annunciato come polo strategico per la produzione di batterie elettriche, vede slittare di due anni il piano industriale.
Un rinvio che pesa non solo sulle prospettive del Molise, ma sull’intera credibilità della politica industriale italiana.
Mentre l’America investe nel futuro, noi continuiamo a rimandarlo.
BOX DATI – STELLANTIS NEL MONDO
Area | Investimenti annunciati | Obiettivi | Effetti previsti |
---|---|---|---|
Stati Uniti | 13 miliardi di $ | +50% produzione, 5 nuovi modelli | 5.000 nuovi posti di lavoro |
Italia (Termoli) | progetto batterie rinviato di 2 anni | in attesa di riconversione | cassa integrazione, incertezza |
Il paradosso italiano
Negli anni, l’Italia è passata dall’essere cuore pulsante dell’automotive europeo a semplice pedina nel gioco globale dei colossi multinazionali.
I marchi restano italiani, ma le decisioni e gli investimenti si prendono altrove.
Il rinvio di Termoli non è un fatto isolato: è il simbolo di un declino industriale silenzioso, aggravato da ritardi politici, burocrazia e mancanza di una visione strategica.
Le grandi promesse della transizione ecologica — “green economy”, “auto elettrica”, “nuovi posti di lavoro” — rischiano di restare slogan senza industria.
E mentre gli altri Paesi corrono, noi restiamo fermi ai tavoli di discussione.
Il Molise, la periferia dimenticata
Per il Molise, il rinvio Stellantis equivale a una doccia gelata.
Una regione che aveva creduto nel rilancio industriale si ritrova ora sospesa nell’incertezza.
Gli operai di Termoli, già provati da anni di attesa e cassa integrazione, vedono sfumare un’altra occasione di stabilità.
Due anni di ritardo significano due anni di precarietà, disoccupazione e disillusione.
Per un territorio che ha visto scomparire quasi tutto il suo tessuto produttivo, questo rinvio suona come una sentenza di abbandono.
E non è solo un tema economico, ma di dignità collettiva: quando un’intera regione viene esclusa dalle rotte dell’innovazione, perde fiducia nel futuro.
La politica del rinvio
Mentre negli Stati Uniti i governi federali sostengono con incentivi massicci l’industria automobilistica e la ricerca sull’elettrico, in Italia regna l’attendismo.
Si parla di “patti per la produttività”, di “tavoli di confronto”, ma sul piano operativo non arriva nulla.
La politica si limita a dichiarazioni di principio, mentre le multinazionali scelgono in base alla convenienza, non alla fedeltà territoriale.
È il risultato di decenni di mancanza di una politica industriale vera, di una visione che metta al centro produzione, tecnologia e lavoro.
Senza una strategia, l’Italia rischia di diventare solo un mercato di consumo per prodotti realizzati altrove.
Un segnale da non ignorare
Il rinvio del progetto di Termoli non è un semplice ritardo tecnico.
È il segno di una frattura tra le promesse e la realtà, tra il Nord e il Sud, tra chi decide e chi subisce.
Mentre l’America costruisce, l’Italia attende; mentre altrove si assume, qui si sopravvive.
E ogni rinvio non è neutrale: erode fiducia, identità e futuro.
Il rischio, oggi, è che la transizione ecologica si trasformi in una nuova stagione di disuguaglianze industriali, dove il Molise — e con esso l’Italia — restano ancora una volta alla finestra del progresso.
Pietro Tonti
Direttore di Moliseprotagonista