“La solitudine”
di Luigi Fantini
Questi giorni, così carichi di ricordi di storia, di una brutta pagina di storia, mi porta a riflettere e a immedesimarmi in quella che fu la solitudine di coloro che hanno vissuto in tempi di guerra e di quelli che vivono nell’angoscia, nella rabbia e nella disperazione delle guerre in atto. Ed è proprio la solitudine che mi richiama alla mente e che mi consente di ripercorrere le considerazioni scaturite in uno dei tanti pomeriggi in cui, a Civitanova del Sannio, nella Chiesa di san Rocco, la comunità di Civitanova ha accolto e conosciuto il libro di Felice Fiorante.
Edito da Terzo Millennio di Isernia, “La solitudine”, è il lavoro di un cittadino civitanovese, domiciliato a Montreal, in Canada, dove ha trascorso gran parte della propria esistenza e percorso la carriera professionale di insegnante, di pittore e di scultore. Per gli amici e i conoscenti: Felice, l’animo sensibile e curioso, l’uomo semplice e disinvolto, l’artista poliedrico e sempiterno fuori dalle righe che, dal tratto autentico e diretto della sua stravagante personalità egli attinge, come all’ampolla dei desideri, le tante domande, le curiosità, i dubbi e i sentimenti che scandiscono il suo quotidiano vivere. E di questi, soprattutto la passione viscerale, la determinazione e lo stupore infantile che accompagnano l’estro del suo fare. Ne disegnano, questi, la voluttà di un giovane nonno; così giovane che, troppo sovente, quella voluttà si perde nella noia e nel dolce poltrire di troppi giovani vecchi. E’ con questa premessa e in questa cornice che – ad avviso di chi scrive – va letto e interpretato il testo in esame, certo che, è al contenuto e non alla forma che va attribuito significato. E se così si procede, anche la forma si fa sostanza, mentre non s’attarda l’attenzione nel discendere e risalire la scrittura parlata dell’autore, tanto che, nulla è scontato e tutto si fa legittimo e diviene poesia: <<La solitudine è la mia amica: è un incontro con me stesso, mi reinventa la vita.>>. Cosicché, i temi trattati e la strutturazione del percorso narrativo (la comprensione della solitudine, la solitudine vissuta in due, la solitudine sotto i diversi aspetti e la solitudine come arricchimento) si fanno causa ed effetto della stella polare, da cui tutto parte e a cui tutto ritorna: <<C’era una volta la solitudine, la mia grande amica. Io vivo in essa. E’ importante addomesticarla. Essa darà i suoi frutti nel silenzio della nostra casa. Noi appaghiamo i nostri desideri, essa ci fa compagnia>>.
E, alla fine, da queste considerazioni emerge l’altro lato della medaglia, quello bello e virtuoso della solitudine, che può farsi sintesi di malessere ma divenire, altresì, fonte di ispirazione e di luce.