Negli ospedali pubblici molisani scarsa attenzione etica e morale nel rapporto con i pazienti

di Pietro Tonti

  Cresce il malcontento tra cittadini e familiari riguardo il comportamento di alcuni operatori sanitari negli ospedali pubblici. Sempre più spesso, chi si trova ad affrontare il ricovero di un proprio caro denuncia atteggiamenti di scarsa disponibilità, se non addirittura di fastidio, da parte di medici e personale infermieristico nel fornire aggiornamenti e informazioni sulle condizioni di salute.

In un contesto già segnato da liste d’attesa, carenze di personale e strutture sotto pressione, la mancanza di empatia e di un approccio umano rischia di aggravare il senso di smarrimento delle famiglie. “Non chiediamo privilegi, ma semplicemente chiarezza e rispetto – racconta un familiare di un paziente ricoverato a Campobasso – e spesso riceviamo risposte evasive o addirittura infastidite.”

Il nodo centrale non riguarda soltanto l’organizzazione sanitaria, ma tocca valori profondi: l’etica professionale e la morale cristiana che dovrebbero guidare chi lavora a stretto contatto con la sofferenza umana. L’impressione diffusa è che, di fronte a carichi di lavoro eccessivi e a una burocrazia soffocante, si perda di vista l’aspetto più importante: la dignità della persona.

Non è assolutamente giusto, ma non bisogna meravigliarsi se i casi di aggressione ai medici e al personale infermieristico, da parte dei familiari dei pazienti in Italia, siano aumentati in maniera esponenziale negli ultimi anni.

Un paragone in parallelo sono le realtà della sanità privata, accreditata e non, in questi contesti l’ospitalità e il trattamento dei pazienti, oltre alle informazioni puntuali ai parenti dei degenti sono al primo posto nei dettami delle dirigenze ospedaliere.

Nella sanità pubblica, medici e infermieri nel Molise, forse per la carenza di personale, sono intoccabili e usano atteggiamenti non in linea con lo spirito con cui bisognerebbe trattare pazienti e parenti, ci informa un ragazzo del capoluogo molisano che descrive la sua esperienza:

<< Portai mia madre al pronto soccorso del Cardarelli la settimana scorsa, in quanto non riusciva a parlare bene, dopo ore di attesa e una TAC, attendevo con la mia compagna l’esito.

Dopo circa cinque ore di vana attesa, nonostante il tentativo di chiedere quali fossero le condizioni di mia madre, una infermiera ci rispondeva con toni sgradevoli: devi  attendere hai capito?

Passate ancora diverse ore, riprovo per la seconda volta, era nel mio pieno diritto  appurare lo stato di salute di mia madre. La stessa infermiera con toni incivili ci dice: non lo sapevi? Tua madre ha il cancro al cervello e va via senza nemmeno un briciolo di compassione, senza un mi dispiace, un comportamento eufemisticamente deplorevole.

Immaginate la mia disperazione in quel momento, mi cadeva il mondo addosso e l’immagine di quella infermiera che in modo brutale mi informava di un qualcosa di drammatico, senza un briciolo di umanità.>>

Affinchè vi sia un ritorno alle buone consuetudini, ponendo la persona al centro dell’universo della sanità pubblica regionale, si chiedono interventi mirati non solo in termini di risorse, ma anche di formazione continua del personale. Un percorso che valorizzi non soltanto la competenza tecnica, ma anche la capacità di ascolto, l’empatia e la disponibilità al dialogo.

Perché un ospedale pubblico non è soltanto un luogo di cura: è anche uno spazio di fiducia reciproca tra cittadini e istituzioni, e il rispetto della persona – malata o familiare – deve rimanere la prima regola di ogni camice bianco.