di Pietro Tonti
C’è una parte sana della gioventù molisana che studia, si prodiga per crescere culturalmente e professionalmente e va via irrimediabilmente dove trova lavoro e futuro per mettere su famiglia.
Poi ci sono i giovani del passato, oramai quarantenni, quelli prodighi da sempre all’unico sforzo, il mungere reddito dalla pensione dei nonni e della zia zitella, sposando la causa della disoccupazione per scelta volontaria, restando vita natural durante nel comodo letto di casa paterna, affermando: qui non c’è lavoro, sono vittima della società!
E se è pur vero che in questa regione il Pil principale è dettato dalle pensioni dei nonni che reggeranno l’economia fino alla loro dipartita, è anche vero che i prossimi nonni saranno loro, ma senza pensione e per i loro nipoti – se li avranno – non ci sarà futuro, se non si daranno una scrollata e decidono oggi il da farsi.
Restare nel Molise è una scelta, si può vivere anche con quella dieci euro che il parente stretto elargisce al proprio nipote, ma con quale prospettiva? Altro aspetto dell’attuale società è dettato dal giovane disoccupato sulla carta, ma spacciatore di professione. Anche in Molise vi è la filiera produttiva della tossicodipendenza.
Si inizia con lo spinellino ceduto all’amico quindicenne per poi salire di grado e laurearsi all’università della strada, spacciatore registrato alle forze dell’ordine, oramai come status sociale. Manca solo il titolo a chi chiede loro che mestiere fai, qualcuno può rispondere con orgoglio e fierezza: lo spacciatore.
Tanto la giustizia agisce con quella lentezza biblica da bradipo che fino all’arresto definitivo, possono incassare tanto di quel denaro da essere considerati impunemente, lavoratori dipendenti.
In questi tre aspetti reali della molisanità contemporanea, ce n’è un altro, quello di chi ancora protende per il posto fisso, chimera assoluta, o riservata a pochissimi eletti, a quei figli fortunati della classe dirigente. In questo contesto convulso, epilettico di una società in liquefazione, l’unico rimedio è credere in se stessi e nelle proprie potenzialità.
Ci vorrebbe una scuola che insegni l’autostima come baluardo fondamentale, e la scelta coraggiosa di andare via, mettersi in competizione con il mondo e acquisire esperienze, lingue diverse e mestieri, oggi è l’unica strada percorribile con la speranza sempre viva che le cose possano cambiare e la loro terra sia in futuro, in un contesto macroregionale, foriera di opportunità su cui contare per ritornare.