di Pietro Tonti
In questi giorni, quando parliamo di Molise e dell’imprudenza programmatica, nell’evitare che tutti gli ospedali venissero infettati, come sta accadendo, non avendo realizzato un centro Covid a Larino, senza entrare nel merito delle colpe e lo scarica barile di responsabilità in atto, tutti concordano che il vero problema, nell’aggiungere un nuovo ospedale al Molise come il Vietri, magari, pur essendoci la volontà e il denaro, non era possibile per la carenza di personale medico e infermieristico.
Andando a ritroso nel tempo, siamo andati a spulciare un dossier del 2005 in cui l’Istituto superiore per la Sanità affermava che in Italia vi erano troppi medici.
Troppi Medici
L’Italia, si legge nel report, ha il più alto numero al mondo di medici per abitante: più di 600 medici ogni 100 mila abitanti nel 2005. I medici appartenenti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) sono circa 370 mila, di cui un terzo lavora negli istituti pubblici. Inoltre, secondo l’Ocse, la competizione tra medici nel settore pubblico è molto alta e spesso i più giovani devono aspettare a lungo prima di riuscire a ritagliarsi un posto di lavoro.
Questo esubero si è sviluppato tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, periodo in cui il numero degli studenti di medicina è aumentato notevolmente: solo nel 1980, 17 mila studenti iscritti. Dagli anni Novanta, il numero chiuso alle università ha portato a una riduzione del numero di iscritti, che nel 2006 è sceso a 5623.
Il settore pubblico offre scarse opportunità a lungo termine e questo spinge a cercare lavoro all’estero: molti dei cosiddetti “cervelli in fuga” sono, non a caso, medici. D’altra parte, l’Ocse sottolinea – sempre per il 2005 – come il mercato del lavoro italiano in ambito sanitario soffra di una cronica mancanza di fondi, scarse opportunità di carriera e nepotismo, risultando quindi poco attraente per i professionisti stranieri.
Pochi infermieri
Il settore infermieristico deve far fronte al problema opposto. L’Italia ha meno infermieri che dottori, la maggior parte dei quali (70%) lavorano in strutture pubbliche. L’università italiana non forma abbastanza infermieri e, secondo la Federazione nazionale Ipasvi, nel 2006 la carenza ammontava a circa 60 mila, per una mancanza di copertura dei posti di lavoro pari al 15%. Per questo motivo l’università ha incrementato la capacità dei corsi per le professioni paramediche, ma le domande di ammissione rimangono più alte dei posti disponibili, soprattutto al Sud.
Per risolvere la carenza cronica di infermieri, alcune Regioni hanno creato nuove figure professionali come quella dell’assistente e operatore socio-sanitario, riducendo così il carico di lavoro degli infermieri specializzati che storicamente svolgono anche compiti di pulizia e movimento dei pazienti.
Oggi mancano medici e infermieri
Poi è arrivato nel 2020 il Covid e per curare i malati non vi sono più medici, si vanno a scovare quelli in pensione e tutti scaricano le responsabilità sul passato, sull’imputo della specializzazione medica riservata ai figli dei medici e a pochissimi fortunati esterni al rango del giuramento di Ippocrate.
Quando i dati statistici sono interpretati non in base alla considerazione che può verificarsi una pandemia, ma a meri numeri e tagli, creando solo lobbies di potere questo è il risultato.
Non possiamo meravigliarci che si generi caos qualora questo avvenga, come sta avvenendo, non resta che piangerci addosso, è purtroppo tardi per redimersi.
Specializzare un medico richiede circa sei anni di studi. Le uniche speranze sono riposte su un vaccino, e su una fantomatica intelligenza del Covid, affinchè comprenda, meravigliandosi della sconsideratezza degli italiani e vada via il prima possibile.