La malattia di Alzheimer è certamente la forma più comune di demenza, nonché la malattia neurodegenerativa più diffusa, in quanto interessa circa 800.000 persone in Italia e circa 27 milioni nel mondo. Tranne che per forme genetiche il fattore maggiormente correlato all’incidenza è l’aumento dell’età media della vita.

Possiamo distinguere tre fasi nell’avanzamento della patologia:

  • Fase iniziale – pre diagnosi (durata dai 2 ai 4 anni): disturbo memoria a breve termine, disturbo dell’umore, disorientamento spazio temporale.
  • Fase intermedia – necessità di supporto (durata dai 3 ai 6 anni): disturbi ritmo sonno veglia, disturbi del linguaggio, disturbi comportamentali, allucinazioni e deliri.
  • Fase avanzata – -istituzionalizzazione (durata variabile): gravi disturbi del comportamento, ridotta motilità volontaria, disturbi controllo sfinteri, disturbi deglutizione, anaffettività, vita vegetativa, morte.

Sintomi correlati quasi sempre presenti: agitazione, paranoia, angoscia, depressione e isolamento.

La diagnosi viene effettuata tramite esami di neuroimaging e test diagnostici. Dalla diagnosi l’aspettativa di vita nei casi peggiori è di 6/8 anni, molti possono sopravvivere anche fino a 20 anni dalla stessa.

Il nostro obiettivo è quello di allungare l’aspettativa di vita migliorandone la qualità, attraverso un efficiente assistenzialismo e una costante riabilitazione fisica e psichiatrica.

La riabilitazione motoria permette al paziente di combattere la progressiva riduzione della motilità.

La riabilitazione psichiatrica mira al potenziamento delle risorse ancora integre del paziente, attraverso tecniche riabilitative che si distinguono in: cognitive e sociali.

Il paziente affetto da malattia di Alzheimer, a causa del danno alla memoria, soprattutto a breve termine, che lo porta a non ricordare il nome dei propri cari, la strada per tornare a casa, il proprio paese di origine, persino se ha fatto colazione oppure no, è sottoposto a stress, che lo trascina dapprima in una forte angoscia e poi in una depressione profonda. La riabilitazione non può bloccare il decorso della malattia, ma lo può rallentare consentendo al paziente di poter vivere nel modo più dignitoso possibile.

Le tecniche di rimedio cognitivo mirano a potenziare le varie funzioni cognitive: memoria, attenzione, linguaggio, orientamento, capacità di ragionamento, vengono svolte sia individualmente che in piccoli gruppi, attraverso esercizi cartacei o computerizzati.

Le tecniche sociali permettono la risoluzione di problemi quotidiani, anche di convivenza con altri ospiti della struttura, fornendo le strategie necessarie al soggetto. Ove possibile, in pazienti non particolarmente compromessi, vengono insegnate tecniche di problem solving.

Quotidianamente il paziente viene stimolato da tutti gli operatori della struttura nella cura del sé e delle proprie autonomie, nello svolgere attività di terapia occupazionale, nel camminare e nell’evitare l’isolamento.

Ogni figura professionale non dedica la propria vita lavorativa alla cura della malattia ma alla cura della persona, proponendogli attività nuove, tenendo, sempre, bene a mente quali sono  gli elementi che fanno scatenare agitazioni e preoccupazioni per evitarle il più possibile e mettere costantemente il paziente  a proprio agio anche verso la malattia e farlo sentire ogni giorno una persona che non sta “perdendo pezzi”.

Il lavoro quotidiano di tutta l’equipe è quello di prendersi cura della persona, della propria dignità di essere umano.

Dott.ssa Gabriella Matrundola

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