La manifestazione dei genitori di Isernia per chiedere scuole antisismiche, sicure per i loro figli era nell’aria.

Mamme e padri, il prossimo 10 novembre scendono in piazza per stimolare l’amministrazione comunale ad impegnarsi e chiedere che i loro figli siano garantiti da eventuali disastri nel momento in cui si dovesse verificare un terremoto devastante sulla nostra zona.

Isernia e l’intera provincia, senza escludere i comuni limitrofi rientra nella zona rossa, la più pericolosa d’Italia, in quella fascia appenninica dove si manifestano terremoti distruttivi.

Una sorta di bomba ad orologeria è innescata dal Padreterno e pronta ad esplodere e trascinare con se vite umane e costruzioni realizzate dall’uomo senza criteri di sicurezza.

La manifestazione del prossimo 10 novembre è giusta, ma non sufficiente in questa provincia per porre in sicurezza le vite dei suoi abitanti. Veniamo ad una panoramica della problematica antisismica.

Poniamo per scontato l’impegno profuso dall’attuale amministrazione comunale per offrire ai giovani studenti luoghi sicuri in cui svolgere le loro attività didattiche. La scelta di edifici antisismici rientranti in quei parametri essenziali di sicurezza, vi sono in città, rispetto ai precari stabili delle scuole medie Andrea D’Isernia e Giovanni XXIII°.

Si tratta solo di utilizzare fondi giusti per pagare i relativi fitti, in una situazione emergenziale, non più procrastinabile, dato il risveglio di faglie devastanti nel centro sud Italia e la distruzione con i lutti del terremoto di Amatrice. Parrebbe che il sindaco D’Apollonio sia attento a questa problematica ed abbia come priorità assoluta proprio la sicurezza scolastica in edifici idonei, in attesa che il Governo stanzi fondi per costruire scuole moderne e a norma.

Situazione diversa è quella dei plessi scolastici delle scuole superiori in carico all’amministrazione provinciale, in cui si ignorano attualmente, nonostante le sollecitazioni di molti genitori, le reali condizioni di antisismicità di tali stabili e se quelli attualmente in uso hanno le dovute certificazioni antisismiche.

Nervo scoperto di tutta la città, comunque, sono gli edifici costruiti negli gli anni sessanta, fino all’84, anno del terremoto tra Abruzzo/Lazio e Molise che fece ingenti danni anche nel centro storico di Isernia.

Emilio Izzo in questi giorni ha lanciato l’allarme sui lavori effettuati in quel periodo dalle ditte appaltatrici, non sarebbero stati realizzati secondo il protocollo previsto dai parametri antisismici per la messa in sicurezza. Per risparmiare e speculare, i ferri con le gabbie di sicurezza non sarebbero state collegate e saldate, ponendo a grave rischio gli edifici nel centro storico della città.

Il grido di allarme è quello rivolto ai tecnici dell’epoca di farsi avanti e dichiarare realmente se i lavori sono stati effettuati nel rispetto delle regole, ma al momento nessuno degli ingegneri e architetti, tutti locali, che in quell’epoca avevano la responsabilità dell’esecuzione dei lavori, si è fatto vivo per smentire le affermazioni di Izzo e offrire rassicurazioni ai cittadini.

Altra spada di Damocle incombente sulla città, sono i palazzoni costruiti in quartieri dormitorio a sette piani, prima dell’84, in cui difficile appurare se, e quale possa essere la loro vulnerabilità sismica in caso di un terremoto stile Amatrice.

La contraddizione imperante in questo momento, è la grande attenzione verso le scuole che devono essere sicure, mentre quando i nostri figli ritornano a casa, se si dovesse verificare un sisma di elevata intensità, possono soccombere con i loro genitori in palazzi sprovvisti della minima certificazione antisismica.

Quale la soluzione? Un Piano Marshall, in cui lo Stato con l’Europa deve investire per mettere in sicurezza gli edifici a rischio esistenti, almeno nell’area rossa come la nostra. Investimenti sempre esigui rispetto a quelli della ricostruzione post sisma a cui siamo abituati.