di Pietro Tonti

MOLISE – In una regione che conta più di 800 giornalisti iscritti all’Ordine, la nomina del nuovo consigliere per la comunicazione istituzionale e strategica del Presidente della Regione Molise, Tiberio Brunetti, arriva come uno schiaffo in pieno volto. Non tanto per la scelta in sé – ogni presidente ha il diritto di circondarsi di collaboratori di fiducia – quanto per il messaggio simbolico e pratico che questa decisione porta con sé: i molisani non sono abbastanza bravi.

Brunetti, infatti, è un professionista esterno alla regione, l’ennesimo “esperto” pescato altrove, mentre in Molise la stampa locale arranca, tra giovani giornalisti sottopagati, collaboratori sfruttati e testate che sopravvivono a fatica. Una decisione che stride con la narrativa ufficiale di una politica che, a parole, sostiene i giovani e si batte contro lo spopolamento, ma che nei fatti sembra ignorare sistematicamente le competenze locali, soprattutto quando si tratta di ruoli di prestigio e di responsabilità.

C’è da chiedersi, allora, a cosa servano i giornalisti molisani. A firmare pezzi di cronaca e comunicati “fotocopia”? A raccontare il territorio senza la possibilità concreta di influenzarne lo sviluppo? Non bastano otto secoli di storia e otto centinaia di professionisti a convincere il vertice politico che la qualità, anche in comunicazione strategica, esiste qui, in questa terra troppo spesso marginalizzata.

E mentre si continua a parlare – spesso solo nei convegni – di “rilancio del territorio”, di “fermare l’esodo giovanile”, di “investire nelle competenze locali”, la realtà è che quando arriva l’occasione buona, il Molise guarda fuori. Non si fida di sé stesso.

Lo stesso discorso vale per i concorsi pubblici per addetti stampa: bandi che sembrano scritti su misura, con requisiti “cuciti” addosso a pochi nomi noti, in un sistema che di meritocratico ha ben poco. Intanto, tanti giovani molisani, con lauree, master e collaborazioni importanti alle spalle, fanno le valigie. Oppure resistono, pagati pochi euro a pezzo, con la speranza che prima o poi arrivi “il giro giusto”.

Non si mette in discussione il curriculum di Tiberio Brunetti. Ma si può e si deve mettere in discussione l’idea politica che c’è dietro questa scelta: l’idea che il valore debba sempre venire da fuori. Un’idea che, in una regione come il Molise, è pericolosa, dannosa e profondamente ingiusta.

Perché se un presidente non crede nei molisani, chi dovrebbe farlo?

 

 Pietro Tonti Direttore di Moliseprotagonista