di Pietro Tonti

Siamo sotto attacco e l’assedio contro i molisani è iniziato da tempo, con la perdita dei presidi aggregati ad altre regioni. Un disegno chiaro, senza mezze misure, paragonabile alla distruzione totale dei Sanniti da parte di Silla descritta da Strabo nell’82 a.C.

Come del popolo fiero dedito alla pastorizia, vera spina nel fianco dei romani non vi è più traccia, con lo stesso disegno oggi, nemmeno tanto occulto, sempre da Roma è partita la seconda campagna sillana, che mira ad annientare i molisani, costringendoli alla resa attraverso l’emigrazione.

Dobbiamo dire che chi ha in mente la distruzione, ci sta riuscendo senza spargimento di sangue questa volta e senza castrazione collettiva. Meno male che siamo in tempi moderni e il Governo capitolino è fiero di vedere i molisani scappare dalla loro terra in 2.000 ogni anno.

Nemmeno il disegno di sostituzione etnica con gli extracomunitari ha funzionato, quello del Governo PD che sperava di evitare lo spopolamento rimpinguando di presenze di colore i nostri paesi montani già spopolati da tempo. Anche loro sono fuggiti al nord, qui non vogliono restarci: come dargli torto.

Quando non c’è lavoro, strade adeguate e una sanità che funzioni e garantisca interventi sicuri e rapidi, che cosa si fa? Naturalmente si fugge. Se prima si scappava solo per il lavoro che manca, ora i molisani andranno via per la sanità delocalizzata con i reparti in altre regioni, ove l’assistenza non sarà più garantita, in quanto le vie molisane e i trasporti parrebbe siano state coniate nell’etimologia dell’aggettivo precario, ed è in effetti rappresentato da quanto di più malsicuro si possa pensare e immaginare.

Qualora il quadro previsto dal presunto PoS targato Giustini e Grossi si dovesse realizzare, quello di aggregare alle regioni limitrofe reparti vitali per la sanità pubblica, bisognerebbe avere una rete ferrata adeguata e non quella che abbiamo, la tratta più lenta e precaria d’Italia. Dovremmo avere delle strade a due corsie per ogni senso di marcia, veloci e non le arterie di cui disponiamo, irte di pericoli, ad ogni curva, frane ed esondazioni ad ogni pioggia; il rischio concreto di vedersi tagliare la strada da enormi cinghiali e incidenti quotidiani che accompagnano ogni molisano nel raccomandarsi l’anima a Dio, ogni volta che decidono di intraprendere un viaggio.

Certamente non è questo che avremmo voluto nel terzo millennio. Avremmo dovuto pretendere uno statuto speciale per questa terra senza lavoro, dove le filiere non esistono più, il precariato è l’icona ad ogni età e il lavoro in nero è l’unico sostentamento possibile per artigiani e commercianti. Sono trascorsi altri 12 mesi di disastri, nel fine anno, come i trascorsi, tanti artigiani e commercianti saranno costretti a chiudere bottega coperti di debiti.  Questo il Molise che si appresta a vivere l’ultimo anno del primo ventennio del terzo millennio, senza prospettive e con l’idea di non avere più scampo se non dileguarsi da questa terra avara per i suoi figli. Non resta altro che aggregarsi ad una macroregione.