Campobasso, 24 aprile 2019 – «Contrariamente a quanto accade per altre festività nazionali rispetto alle quali si è consolidato lo spirito unitario del Paese, il 25 aprile continua a dividere, genera contrapposizioni, talvolta laceranti, offre il fianco al tentativo di fornire una chiave di lettura di parte che non rende giustizia alla verità storica.
La narrazione di quel periodo, tra settembre 1943 e aprile 1945, e dei fatti che portarono alla liberazione dell’Italia dal regime nazifascista e alla fine del secondo conflitto mondiale in Italia è sottoposta ad una sorta di filtro ideologico che genera confusione soprattutto nelle giovani generazioni che, al contrario, avrebbero bisogno di una ricostruzione quanto più possibile aderente alla realtà degli accadimenti e scevra da ogni condizionamento da parte di chi, per ragioni opposte, tende a darne un’interpretazione funzionale alla propria posizione politica.
Il 25 aprile 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione della città di Milano, che fu liberata il 28 aprile. Il 29 aprile fecero il loro ingresso gli americani con l’avanguardia della 1st Armored Division. Nello stesso giorno, la resa di Caserta sancì la sconfitta delle forze armate nazifasciste e la fine in Italia della Seconda guerra mondiale.
La Resistenza italiana ce l’aveva fatta. Venti mesi, o giù di lì, di aspra e sanguinosa lotta armata in cui furono impegnati partigiani, gruppi del ricostituito Esercito italiano, forze alleate.
Le Brigate partigiane erano costituite da combattenti di diverso orientamento politico che trovavano la sintesi nel Comitato nazionale di liberazione, dove erano presenti rappresentanti del Partito comunista, del Partito socialista italiano di unità proletaria, del Partito di azione, del Partito democratico del lavoro, della Democrazia cristiana e del Partito liberale italiano.
Il Corpo italiano di liberazione, che da singola Unità venne poi trasformata nei Gruppi di combattimento, era composto, prevalentemente, da soldati di fede monarchica, se non altro a livello di alti ufficiali.
Il contingente alleato poteva fare affidamento su soldati statunitensi, inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani, indiani, polacchi, francesi, algerini, tunisini, senegalesi e goumier, marocchini di etnia berbera.
La vittoria sui nazisti e sui repubblichini di Salò fu resa possibile grazie all’azione sinergica e combinata di questi soggetti, diversi per fede politica, per credo religioso e per nazionalità, che pagarono con un alto numero di caduti il prezzo per un’Italia libera. Lottarono, tutti insieme, contro l’invasore tedesco e la dittatura nazifascista per l’affermazione della democrazia e della libertà.
Questi i fatti, questa la storia.
Ebbene, quanti ancora oggi si ostinano a dare una connotazione politica e ideologica al 25 aprile commettono un grave errore e mistificano gli eventi.
Indubbiamente, nella Liberazione confluiscono diversi aspetti identitari e interagenti, quali il patriottismo, il desiderio di rendere l’Italia libera dall’oppressione nazista e dal ventennio fascista, la guerra civile fra italiani schierati su due fronti, l’aspirazione all’insurrezione rivoluzionaria da parte della frangia stalinista della Resistenza.
Tutti fattori che vennero armonizzati dalla democrazia e condussero alla fondazione della Repubblica italiana.
Cosa celebriamo, dunque, con la Festa della Liberazione?
Innanzitutto, onoriamo la memoria di tanti uomini e donne che offrirono la loro vita per dei nobili ideali, poi ribadiamo il grande merito che la Resistenza ha avuto quale antesignana dei due grandi pilastri su cui poggia la nostra Costituzione: la democrazia e l’antifascismo.
Pilastri che non hanno colore, perché non sono né di destra, né di sinistra.
Essi fanno parte del DNA del popolo italiano, orientano il nostro presente e il nostro futuro, ci chiamano ad essere estremamente vigili laddove vi fosse qualcosa o qualcuno che possa metterli in discussione.
La libertà di autodeterminarsi, quando non possibile o impedita, richiede un’azione di liberazione tendente a riaffermare i valori condivisi di un popolo.
Il “liberatore”, prima oppresso, deve adoperarsi per ristabilire, col tempo, il giusto equilibrio tra se stesso e gli altri attraverso un processo di pacificazione.
Su tali presupposti, ritengo vada ritrovato il senso autentico, condiviso e unitario, del 25 aprile».
La riflessione del presidente della Regione Molise sulla Festa della Liberazione in occasione della celebrazione del 74° anniversario.