Due mondi del lavoro a confronto
Germania e Italia: quando il salario minimo segna il confine tra dignità e disillusione
editoriale di Pietro Tonti
In Germania un operaio guadagna oltre il doppio rispetto a un lavoratore italiano.
Nel Paese di Merkel e Scholz il salario minimo cresce, in Italia è ancora un dibattito irrisolto. E forse non è un caso se più della metà degli italiani ha smesso di credere nella politica.
L’Europa a due velocità
ROMA. C’è un’Europa del lavoro che viaggia a due velocità. Da una parte la Germania, dove il salario minimo e le tutele hanno garantito crescita e stabilità; dall’altra l’Italia, dove stipendi fermi e precarietà alimentano frustrazione e sfiducia.
Il tema del salario minimo diventa così uno specchio delle disuguaglianze economiche e sociali che attraversano il continente.
Il modello tedesco: sicurezza e pianificazione
Dal 1° gennaio 2025, il salario minimo legale tedesco è salito a 12,82 euro l’ora, e crescerà ancora: 13,90 euro nel 2026, 14,60 nel 2027.
Secondo i dati Destatis, il reddito medio lordo per un lavoratore a tempo pieno è di 4.479 euro al mese, circa 51.800 euro l’anno.
Gli operai guadagnano in media tra 3.200 e 4.000 euro lordi mensili, con una rete di protezione garantita per legge.
Un sistema che funziona perché lo Stato fissa una soglia chiara, aggiornata da una commissione indipendente che tiene conto dell’inflazione e della produttività.
Il risultato: un’economia solida, salari in crescita e fiducia nelle istituzioni.
L’Italia e la contrattazione frammentata
In Italia, invece, il salario minimo non esiste per legge.
Le retribuzioni sono determinate dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che cambiano da settore a settore.
Un operaio metalmeccanico italiano guadagna in media tra 1.700 e 1.900 euro lordi al mese, con una media nazionale di 2.729 euro lordi, ossia circa 32.700 euro l’anno.
La differenza con la Germania è abissale: oltre il 60% in meno.
E la forbice continua ad allargarsi, anche perché i salari italiani non crescono da più di vent’anni, mentre il costo della vita sale e la produttività ristagna.
Il prezzo della disuguaglianza
Le conseguenze non sono solo economiche.
Un operaio tedesco, con 4.000 euro lordi al mese, può contare su un tenore di vita stabile e sulla possibilità di risparmiare.
Un operaio italiano, con 1.800 euro, fatica sempre più a mantenere una famiglia o accendere un mutuo.
Questa differenza non si misura solo in euro, ma in fiducia, dignità e partecipazione.
Perché quando il lavoro non basta più per vivere, la democrazia stessa inizia a vacillare.
BOX DATI – I numeri del divario
| Indicatore | Germania | Italia |
|---|---|---|
| Salario minimo legale (2025) | 12,82 €/h | Non esiste |
| Stipendio medio lordo mensile | 4.479 € | 2.729 € |
| Stipendio medio operaio | 3.200–4.000 € | 1.700–1.900 € |
| Salario minimo mensile (tempo pieno) | ~2.161 € | Variabile per CCNL |
| Aumento previsto 2027 | 14,60 €/h | — |
Fonti: Destatis, Eurostat, OCSE, Reuters, Expatica, Trading Economics (ottobre 2025).
Un Paese che smette di credere
Il modello tedesco dimostra che un salario minimo ben calibrato non danneggia l’economia, ma rafforza la coesione sociale.
In Italia, invece, il lavoro è sempre più fragile, i salari stagnano e il ceto medio si assottiglia.
E forse, in fondo, anche da questo nasce quel senso di disincanto profondo verso la politica: la convinzione che nulla possa davvero cambiare la vita quotidiana delle persone.
Perché se lavorare non basta più per vivere con dignità, allora non stupisce che oltre il 60% degli italiani scelga di non andare più a votare.
Pietro Tonti direttore di moliseprotagonista







