di Pietro Tonti

Isernia, questo piccolo capoluogo nel cuore del Molise, sta vivendo una deriva silenziosa ma devastante: lo spaccio di droga è ormai una realtà quotidiana, radicata in più angoli della città, con piazze di riferimento note a tutti. Un fenomeno che, paradossalmente, in un centro così piccolo — dove ci si conosce, dove i volti sono gli stessi da generazioni — dovrebbe essere più semplice da contrastare con decisione e immediatezza.

Eppure lo spaccio continua, si diffonde, attecchisce e si trasforma in violenza. L’accoltellamento nei pressi della stazione ferroviaria tra due spacciatori è solo la punta dell’iceberg di una situazione incancrenita.

A rifornire le piazze locali sono canali che arrivano dalla Campania e dal Lazio, ma il problema non si limita agli arrivi esterni: il traffico coinvolge extracomunitari e cittadini locali, in un intreccio di fragilità sociali e appetiti criminali.
Un mix che sta lentamente minando la percezione di sicurezza e il tessuto sociale della città.

La domanda allora è inevitabile: perché non si agisce?
Perché, in una comunità dove le forze dell’ordine conoscono ogni strada, ogni famiglia, ogni dinamica del territorio, non si interviene in maniera coordinata e risolutiva?
Perché, a fronte della possibilità concreta di chiudere questo cancro in poche ore – come molti operatori sostengono -, si continua invece ad assistere a una spirale di impotenza istituzionale?

La risposta, ancora una volta, sembra nascondersi dietro un muro fatto di leggi, regolamenti, competenze limitate, norme che spesso più che proteggere sembrano incatenare chi ha la responsabilità di garantire sicurezza.
E così, mentre lo Stato discute, la città osserva: osserva ragazzi che scivolano nella dipendenza, osserva movimenti di droga sotto gli occhi di tutti, osserva famiglie che temono per i propri figli e cittadini sempre più sfiduciati.

Isernia non può permettersi l’indifferenza.
Non può tollerare che le forze dell’ordine, pronte e capaci, siano legate da norme che impediscono interventi rapidi e incisivi.
Non può assistere impotente alla crescita di un fenomeno che, se non arginato oggi, domani sarà fuori controllo.

Serve coraggio istituzionale, serve una linea comune, serve soprattutto la volontà di dire basta.
Perché ogni giorno che passa, questa città perde un pezzo della sua identità, della sua tranquillità e, soprattutto, del suo futuro.