di Pietro Tonti

Un effetto domino che parte da Bruxelles, attraversa i palazzi romani e finisce per abbattersi sulle periferie più fragili del Paese. È questo il quadro che emerge osservando le politiche europee, nazionali e regionali e il loro impatto reale sulla vita quotidiana dei cittadini, anche – e soprattutto – in territori marginali come il Molise. Un anno che può essere definito, senza eccessi retorici, un vero annus horribilis.

Le scelte energetiche europee, figlie di strategie geopolitiche e transizioni affrettate, hanno prodotto bollette insostenibili per famiglie e imprese. Costi dell’energia tra i più alti d’Europa hanno eroso i redditi, annullato di fatto il ceto medio e reso impossibile programmare il futuro. In regioni economicamente deboli come il Molise, l’impatto è amplificato: stipendi bassi, servizi carenti e nessun margine di resilienza.

A questo si aggiunge una burocrazia soffocante, stratificata tra norme europee, leggi nazionali e regolamenti regionali, che paralizza l’iniziativa economica. Aprire, mantenere o far crescere un’impresa è diventato un percorso a ostacoli. Il commercio di prossimità è stato progressivamente desertificato dall’avvento dei colossi dell’e-commerce, come Amazon, e dalla concorrenza di prodotti a basso costo provenienti dalla Cina, spesso in assenza di reali tutele per il mercato interno.

Il risultato è un tessuto commerciale in crisi, con negozi che chiudono e centri storici svuotati, mentre le piccole e medie imprese – vera ossatura del Paese – restano le uniche a pagare fino all’ultimo euro di tasse. Le multinazionali, pur operando e fatturando in Italia, continuano a beneficiare di regimi fiscali più vantaggiosi in altri Stati europei, lasciando sul territorio solo briciole occupazionali.

Il settore sanitario rappresenta un’altra ferita aperta. La sanità pubblica è allo stremo, schiacciata da tagli, carenza di personale e inefficienze strutturali. Le famiglie sono costrette a sostenere costi sempre più elevati per curarsi, mentre la sanità privata diventa spesso l’unica alternativa. Nelle regioni periferiche, l’accesso alle cure si trasforma in un percorso di rinunce e migrazioni sanitarie, con ulteriori costi economici e sociali.

Nel frattempo, anche il mondo agricolo vive una fase di forte tensione. Il blocco momentaneo del Mercosur evidenzia la fragilità delle filiere italiane, già penalizzate da costi di produzione elevati e da una concorrenza internazionale spesso sleale. A pesare sul clima sociale ed economico c’è anche il sostegno finanziario all’Ucraina: circa 90 miliardi di euro destinati al governo di Zelensky, mentre in molti Paesi europei – Italia compresa – crescono povertà, disagio e insicurezza economica.

Il risultato complessivo è un Paese in affanno, dove le imprese non riescono più a fare reddito né ad aumentare gli stipendi, e dove le famiglie vedono ridursi progressivamente il potere d’acquisto. In questo contesto si inserisce un dato allarmante: circa 600mila giovani ogni anno lasciano l’Italia, in cerca di opportunità altrove. Un esodo silenzioso ma costante, alimentato da tasse elevate, servizi scarsi e prospettive sempre più incerte.

Il Molise, come altre regioni interne, rappresenta l’emblema di questo fallimento sistemico: poche risorse, scarsa attenzione politica e un senso crescente di abbandono. Le decisioni prese lontano dai territori finiscono per incidere pesantemente sulla vita delle comunità locali, senza adeguate compensazioni o politiche di riequilibrio.

Dopo un anno che molti definiscono tra i peggiori degli ultimi decenni, la speranza è che il 2026 possa segnare un cambio di rotta. Servono politiche più sostenibili, meno ideologiche e più concrete, capaci di rimettere al centro le famiglie, il lavoro e i territori. Perché senza una reale inversione di tendenza, il rischio non è solo il declino economico, ma la perdita definitiva di fiducia nel futuro.