di Pietro Tonti
Isernia- Il grande degrado di Via Veneziale, dei palazzoni costruiti per l’edilizia popolare negli anni 70 dallo IACP, con uno stile arabo improbabile, hanno trovato la loro massima espressione di sempre ieri nell’abbattimento di una delle strutture edili che passerà alla storia tra le più tetre dell’Isernia di sempre.
Non sappiamo quale mente abbia partorito un obbrobrio simile da un punto di vista architettonico, privo di qualsiasi lungimiranza estetica e funzionalità abitativa. Un agglomerato destinato agli ultimi, e probabilmente chi lo progettò, ebbe l’idea che gli ultimi dovevano abitare da miserabili e restare ultimi, senza possibilità di riscatto alcuno, in una sorta di casba. La realizzazione di questi palazzoni, con materiali scadenti, già dieci anni fa furono giudicati inagibili, ma solo ieri è iniziato l’abbattimento.
Degli antichi romani dopo oltre duemila anni custodiamo ponti e strutture abitative. Del periodo fascista la maggioranza dei palazzi e opere pubbliche ancora inattaccabili dal tempo, ma il quartiere popolare di Via Veneziale dopo solo 40 anni ha meritato l’abbattimento. La decadenza di questo quartiere è stata sempre percepita dagli isernini e da quanti nel corso degli ultimi decenni si sono trovati a frequentarlo, a passare con le auto tra questi agglomerati spenti nella fantasia, degradati negli intonaci esterni ammuffiti, nella negazione di ringhiere in ferro che potessero spezzare il tugurio di balconi a mattoni e finestre anguste.
Da lontano queste costruzioni ancora appaiono come navi naufragate nel dispiacere della miseria. Figlie di speculazioni edilizie indicibili votate al massimo risparmio, senza gusto alcuno, senza sicurezza sismica, senza passione, con l’unico probabile interesse, quello di ultimare un’accozzaglia di mattoni e chiamarle abitazioni popolari. Scale a chiocciola da far girare la testa e da far perdere l’orientamento a chi abitava ai piani più alti, materiali scadenti, da prima scelta dopo lo scarto edilizio, ne hanno determinato l’abbattimento, con la conseguenza di altro denaro pubblico destinato alla ricostruzione e si spera ad opere di una durevolezza maggiore degli esigui 40 anni delle ultime abominevoli costruzioni in via di abbattimento.
Ieri curiosi ed ex inquilini cresciuti nella prima costruzione in demolizione, erano tutti fermi ad assistere attoniti al braccio meccanico che distruggeva i loro ricordi infantili e di una vita, mentre un idrante evitava l’alzarsi delle polveri. Un paesaggio spettrale che poteva benissimo, con una foto, apparire come un quartiere di una città bombardata della Siria o della Beirut post bellum, ma no, è l’Isernia moderna, nulla a che fare con quella distrutta da sette terremoti nel corso dei secoli. E’ quella parte della città affossata e distrutta dall’uomo avido moderno, incapace di essere lungimirante in nome di interessi privati, nel disprezzo della collettività.