di Pietro Tonti
Paline rilevatrici della neve che vibrano, forte odore di zolfo, quello che sta accadendo ai confini del Molise sul Matese a circa un chilometro dalla località sciistica Bocca della Selva, lungo la provinciale 89 che conduce a Cusano Mutri in provincia di Benevento ha del misterioso.
In un tratto di circa cento metri in un curvone in discesa, sono visibili le paline poste di recente per il rilievo della neve, vibrare e produrre anche rumore. Se si fermano con una mano, come rileva il Geologo Domenico Angelone che ieri si è recato sul posto, dopo due minuti riprendono a vibrare. Un fenomeno inconsueto e strano, si parla di magnetismo, ma la bussola in quel tratto resta regolare, ci vorrebbe un magnetometro per rilevare qualcosa di anomalo. Proprio in quel tratto nel sottosuolo insiste una miniera di bauxite un materiale ferroso, che potrebbe generare una risonanza, chissà, come correlare questo fenomeno al magnetismo. Angelone pensa si possa trattare di semplice risonanza dei materiali, ad innescarlo? Bisogna scoprirlo, potrebbe essere anche il vento, ma è tutto da verificare. Angelone è pronto per una seconda spedizione con alcuni colleghi per cercare di dare una spiegazione scientifica all’accadimento.
Nel link di seguito, le immagini girate ieri sera dal Dott. Domenico Angelone sul luogo.
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Al momento si brancola nelle ipotesi, la scienza afferma che i precursori di un sisma si hanno attraverso variazioni magnetiche elettriche, infatti in diverse occasioni si è riscontrato che terremoti e attività vulcanica sono associati a variazioni, o segnali, magnetici, elettrici ed elettromagnetici.
Difficile al momento spiegarsi per quale motivo tra le decine di paline neve poste su quel tratto di strada solo sei vibrano, nel caso di precursori sismici, dovrebbe esser un’area molto più vasta interessata da fenomeni magnetici.
Potrebbe essere indicativo per spiegare quello che sta accadendo sul Matese in questo momento, ritornare al 10 gennaio 2018, quando sul Mattino di Napoli un articolo che di seguito riportiamo integralmente, della Giornalista Mariagiovanna Capone titolava: “Una sorgente di magma sotto il Matese: «Rischio più elevato di terremoti»”
<<Lo studio, unico nel suo genere, condotto da Francesca Di Luccio e Guido Ventura della sezione di Sismologia e Tettonofisica dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha analizzato una sequenza sismica anomala.
Tutto è partito da qui. Cinque anni dopo la rivista Science Advances pubblica i risultati della ricerca portata avanti dal team di ricercatori che ha portato a una svolta dal punto di vista scientifico: per la prima volta è stato trovato del magma sotto l’Appennino meridionale in grado di dar luogo a terremoti di magnitudo significativa. Vulcanismo nel Sannio-Matese?
Qualcuno storcerà in naso, eppure fino a 50 mila anni fa ad alcune decine di chilometri dall’area di ricerca c’è stato il vulcano di Roccamonfina di cui il Monte Santa Croce è la parte più alta. Quello che non si sapeva prima di oggi era che il magma non è così profondo come si credeva, ma compreso tra 30 e 10 chilometri di profondità, con il punto più sottile posizionabile sotto San Gregorio Matese, nel parco regionale del Matese a un tiro di schioppo dal Molise.
Niente paura però, non c’è nessun pericolo di un’eruzione vulcanica imminente. «In tempi brevi non si riattiva nulla» continua Ventura. «In migliaia di anni potrebbe accadere, invece, se l’alimentazione del magma proseguisse nel tempo e con costanza, al punto da far nascere un nuovo vulcano.
Ma ciò che dobbiamo tenere sempre a mente è che la pericolosità sismica in questi territori resta la più alta d’Italia, la nostra ricerca non toglie né aggiunge pericolosità». «È da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano» conferma Giovanni Chiodini. «Tuttavia, se l’attuale processo di accumulo di magma nella crosta dovesse continuare non è da escludere che, alla scala dei tempi geologici si possa formare una struttura vulcanica».
«Di fatto la sismicità di tutto l’Appennino è dovuta a sforzi tettonici, e questo tratto non è dissimile da altri» spiega Ventura. «Ma dall’analisi di dati sismici e geochimici abbiamo verificato che qui esistevano dei terremoti più profondi rispetto alla sismicità tipica dell’area, dovuti alla risalita di roccia fusa, di magma. Abbiamo aggiunto quindi un altro meccanismo che offre una visione scientifica totalmente nuova e inaspettata, mai monitorata prima in una zona non vulcanica».
Ci sono studi scientifici che aggiungono minuscoli indizi per capire meglio delle aree tettoniche o vulcaniche, quello che è evidente invece è che questo studio è riuscito a incastrare un fondamentale pezzo nel puzzle intricato dell’appennino meridionale ma, cosa ancora più importante, potrebbe essere rilevante anche in altre aree del mondo. «Questo risultato aggiunge Ventura – apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa.
Lo studio della composizione degli acquiferi consente di evidenziarne anche l’anomalia termica. Il prossimo obiettivo della ricerca sarà quello di studiare altre sequenze sismiche di aree non italiane. Prima di tutto quella dei monti Zagros in Iraq, recentemente colpiti da un terremoto estremamente forte, poi della Cordigliera nord americana e delle Ande. L’ambizione principale è inserire nello studio, se ci riusciamo, anche Himalaya».
«Le catene montuose sono generalmente caratterizzate da terremoti riconducibili all’attivazione di faglie che si muovono in risposta a sforzi tettonici» precisa Francesca Di Luccio. «Tuttavia, studiando una sequenza sismica anomala, avvenuta nel dicembre 2013-2014 nell’area del Sannio-Matese con magnitudo massima 5, abbiamo scoperto che questi terremoti sono stati innescati da una risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 chilometri di profondità. Un’anomalia legata non solo alla profondità dei terremoti di questa sequenza (tra 10 e 25 chilometri), rispetto a quella più superficiale dell’area (minore di 10-15 chilometri), ma anche alle forme d’onda degli eventi più importanti, simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche. I risultati fin qui raggiunti aprono nuove strade non solo sui meccanismi dell’evoluzione della crosta terrestre, ma anche sulla interpretazione e significato della sismicità nelle catene montuose ai fini della valutazione del rischio sismico correlato».
La scoperta di una sorgente magmatica profonda sotto l’Appennino meridionale è arrivata dall’analisi di dati sismici anomali e dalla geochimica della composizione delle acque negli acquiferi del Matese che presentavano una componente di anidride carbonica profonda. I dati raccolti mostrano che i gas rilasciati da questa intrusione di magma sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica, appunto, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell’Appennino. Ritornando allo strano fenomeno in corso sul Matese ai confini tra Molise e Campania, nelle prossime ore avremo dei dati più precisi, dopo i rilievi geologici sul posto>>.
Facendo i dovuti scongiuri, affinchè non si tratti di precursori sismici, sarebbe troppo da aggiungere ad 2020 già esageratamente funesto.