di Pietro Tonti
Osservare l’inedia con cui si affronta il problema industriale nel Molise, illudendosi di catalizzare l’attenzione di holding che possano investire in questa regione sull’opportunità dell’Area di Crisi Complessa è eufemisticamente stigmatizzabile.
Se da un lato gli sforzi per far approdare in questa terra gruppi importanti nel tessile e soprattutto sani come il brand Missardi dei fratelli Calugi, sono stai ripagati da una indifferenza totale della regione Molise, tanto da essere stati costretti a chiudere con una perdita economica di 300 mila euro, oltre all’immagine stessa e alla negatività scaturita in imprenditori collegati con il mondo del tessile che attendeva un rilancio.
Per non dimenticare, la società toscana aveva chiuso il primo accordo di licensing con “Gay Mattiolo”dopo aver dato vita alla start-up molisana I.T.R. Moda, nata sulle ceneri della vecchia Ittierre . Per il brand di prêt-à-porter, di fatto, si apriva un nuovo corso. Su Milano Finanza Fashion nell’ottobre del 2015 si leggeva: “Gai Mattiolo riparte con Missardi e sarà gestito nello stabilimento di I.T.R. Moda-Innovazione tecnologia ricerca di Miranda (Isernia). Il gruppo toscano specializzato nella produzione di abbigliamento in tessuto, pelle e pellicceria di fascia alta, con sedi a Empoli (Firenze) e Montecatini (Pistoia), guidato dai gemelli Massimo e Alessandro Calugi, ha infatti siglato un accordo di licenza uomo e donna con lo stilista romano Gay Mattiolo”.
Tutto perso tutto in fumo, sogni di speranza di rilancio del tessile ad Isernia e nell’intero Molise.
Il deal, della durata di sei anni più sei, prevedeva la gestione di tutte le linee abbigliamento e accessori tranne, tra gli altri, il segmento sposa e sposo, il beachwear e i profumi. Le proposte dovevano essere commercializzate a nome Gai Mattiolo, dopo che per diverse stagioni la label riportava soltanto il cognome del designer e tutto questo ben di Dio doveva essere gestito nel Molise, ad Isernia.
Poniamoci nei panni dei fratelli Calugi, dopo essere stati trattati a pesci in faccia e letteralmente costretti a fuggire da questa regione, per non rimetterci ulteriormente, quale idea si sono fatti dei molisani e soprattutto di chi ci amministra?
Personaggi di spicco del panorama del tessile in Italia che hanno contatti con i maggiori gruppi, quando parleranno del Molise potranno mai consigliare a qualcuno di venire ed investire per mettere su un’attività produttiva? La risposta è ovvia.
Le calende greche dell’Area di Crisi, più che un’opportunità per gli investitori si potrebbe rivelare uno strumento di ulteriore baratro per la nostra economia. Le manifestazioni di interesse, in seguito ad una proroga chiesta al Mise dalla regione, scadrà il 10 ottobre p.v., tale proroga è giustificata dalle tante manifestazioni di interesse – almeno questa è la versione del presidente Frattura – di gruppi imprenditoriali che vorrebbero approfittare delle miosure previste per approdare nel Molise.
Fino a questo punto, la promozione finalizzata alla rielezione consente all’attuale esecutivo regionale di fare, per il momento, una buona comunicazione.
Se andiamo ad affrontare nel merito la questione ecco che viene fuori la “dark side of the moon”, la faccia oscura di una luna che cela dubbi e perplessità, gli stessi che hanno contribuito a far desistere Missardi dal restare in questa regione. Veniamo ai tempi per stilare la graduatoria e soprattutto i sistemi di erogazione delle misure finanziarie previste dall’Area di crisi, che non sono nemmeno allo stato di morula e non si sa quando si avvierà l’embrione. Presumibilmente per l’attuale legislatura, i gruppi imprenditoriali che in questi giorni stanno esprimendo un minimo di interesse non vedranno il becco di un incentivo se non – forse – nel 2019/2020.
Tempi biblici naturali direte, ma impossibili da gestire in periodi come questi di crisi reale per imprese esistenti e da coinvolgere, un’aspettativa che non giova a nessuno e nel frattempo quelle aziende già presenti che sperano in un rilancio, saranno costrette a chiudere, mentre le nuove potrebbero desistere da approdare nelle aree previste per gli insediamenti. Le considerazioni possono apparire pessimistiche, ma reali e rafforzate da ulteriori dubbi, in merito agli interessi scaturiti da chi vuole investire nel Molise.
Quando un’azienda del nord vuole investire nel Molise lo fa per due motivi. Il primo è per tentare di risollevare le sorti di un fallimento annunciato, l’altro per tentare il colpaccio con presta nomi e fuggire con il bottino. Rare sono quelle realtà che si avvicinano alla nostra terra per sane ragioni e quando giungono come il caso Missardi, non li prendiamo nemmeno in considerazione. Verrebbe da pensare, in uno spirito al limite della satira che se gli imprenditori non sono banditi, non sono bene accetti in questa regione.
Potremmo fare esempi calzanti osservando le incompiute nelle aree industriali di tutto il Molise. Ricorderete l’assalto della legge 488/92 che permetteva a onesti e veri e propri banditi del segmento industriale e artigianale di approfittare di finanziamenti fino al 90% (quando ancora il Molise rientrava nell’Obiettivo Uno europeo) attendere l’erogazione e fuggire con il malloppo facendo restare cattedrali nel deserto visibili ad imperitura memoria del disastro industriale ancora oggi.
Potremmo fare esempi anche più recenti riguardanti note aziende superfallimentari e i faccendieri che si sono susseguiti con false speranze di sviluppo, miseramente cadute nella voragine giudiziaria dei concordati preventivi, ma risulterebbe superfluo e logorroico continuare a citare le solite note stonate.
Anche se i tempi sono cambiati e fortunatamente anche gli incentivi in conto capitale per l’Area di Crisi sono ridotti al 40% degli investimenti sostenuti, bisognerà controllare la buona fede di chi si appresta ad ancorare le proprie sorti produttive nelle aree individuate per lo sviluppo.
Questa dovrà essere un’opera fondamentale, per scongiurare faccendieri, teste di legno presta nomi alle aziende che potrebbero giungere solo per rimpinguare il proprio portafoglio e all’illusione di assunzioni di maestranze e speranze futuribili, potremmo rivedere un film già visto: solo pochi mesi di produzione, per poi iniziare a non ottemperare ai pagamenti delle spettanze ai lavoratori e avviare le note trafile di crisi nella crisi già catastrofica per la nostra economia.
Resta comunque il rammarico che l’unica azienda certa e certificata per il tessile come Missardi è fuggita dalla nostra realtà nel silenzio indifferente di chi dovrebbe preservare il territorio e porsi a disposizione a prescindere dal baluardo dell’Area di Crisi.