editoriale di Pietro Tonti

La vicenda dei tre bambini della famiglia anglo-australiana trasferiti dal Tribunale dei minori dell’Aquila in una comunità educativa continua a suscitare polemiche e reazioni politiche. Tra queste, quella del vicepremier Matteo Salvini, che ha definito la decisione «vergognosa» e ha annunciato l’intenzione di seguire personalmente la situazione.

Oltre alla disputa giudiziaria, il caso sta riportando alla luce un tema più ampio e complesso: come viene valutata oggi l’idoneità genitoriale, e in che misura tali valutazioni tengano conto della storia sociale italiana, delle differenze culturali e delle situazioni di degrado presenti nelle periferie urbane.


Un’Italia dove intere generazioni sono cresciute senza acqua corrente né bagno in casa

La discussione pubblica sta evidenziando un dato spesso dimenticato:
la stragrande maggioranza degli adulti e degli over 60 italiani, specialmente nei borghi e nelle periferie fino agli anni ’60–’70, non aveva acqua corrente, né bagno interno, né comfort domestici moderni.

Case fredde, servizi igienici esterni, fontane pubbliche per l’approvvigionamento dell’acqua, stufe a legna: condizioni oggi ritenute inaccettabili erano all’epoca la normalità.
Eppure, in quelle case si educavano i figli, che venivano regolarmente mandati a scuola, e nessuno avrebbe mai immaginato che tali condizioni potessero costituire automaticamente motivo di allontanamento.

Questo parallelismo alimenta oggi una domanda sempre più diffusa:
com’è possibile che ciò che per generazioni è stato normale venga oggi interpretato come un segnale di inadeguatezza genitoriale?


Il caso Palmoli: una famiglia che vive nel bosco, senza acqua né luce

Nella vicenda abruzzese il tribunale segnala criticità relative a:

  • assenza di luce e acqua corrente nella casa nei boschi,

  • documentazione dell’istruzione domiciliare ritenuta non pienamente regolare,

  • esposizione mediatica dei minori da parte dei genitori.

Per queste ragioni, il Tribunale dei minori dell’Aquila ha disposto un periodo di osservazione in comunità educativa, coinvolgendo anche la madre dei bambini.

Il legale della famiglia, l’avvocato Giovanni Angelucci, contesta la versione dei fatti e annuncia ricorso, sostenendo che l’istruzione domiciliare fosse autorizzata e regolarmente documentata.


La critica politica: “Perché lo Stato interviene qui e non nelle situazioni di vero degrado?”

Salvini ha accusato le istituzioni di doppiopesismo, affermando:

“Perché togliere i bambini a due genitori acculturati che hanno fatto una scelta di vita alternativa, mentre nei campi rom o nelle periferie degradate delle grandi città centinaia di bambini non vanno a scuola, vivono tra rifiuti, senza acqua, senza luce, senza regole e nessuno interviene?”

Il vicepremier sottolinea un nodo cruciale: nelle grandi città esistono contesti di grave marginalità sociale, dove minori vivono tra criminalità, assenteismo scolastico e totale degrado.
Eppure, osserva Salvini, in quelle situazioni l’intervento istituzionale è spesso lento, sporadico o inesistente.


Il Tribunale: “Serve un contesto monitorato per il benessere dei minori”

Dal canto suo, la Procura minorile ritiene necessario valutare:

  • la sicurezza dell’abitazione,

  • la regolarità dell’istruzione,

  • la capacità dei genitori di garantire una crescita equilibrata.

La scelta di allontanare i minori non riguarda lo stile di vita in sé, sostengono gli operatori, ma la necessità di un “contesto monitorato” per verificare che i bambini ricevano istruzione e socializzazione adeguate.


Le reazioni dell’opposizione: “Niente passerelle, prima vengono i bambini”

Esponenti di Avs e delle opposizioni criticano Salvini per la sua esposizione pubblica della vicenda.
Luana Zanella afferma:

“Serve sobrietà. Eviti passerelle politiche sulla pelle di tre bambini.”

Elisabetta Piccolotti aggiunge che la priorità deve essere la tutela dei minori e chiede di abbassare i toni, ricordando l’importanza della socializzazione e della scuola.


Una domanda che resta aperta

Il caso Palmoli evidenzia un nodo irrisolto del sistema italiano:
quando e come è giusto che lo Stato intervenga nelle scelte educative dei genitori?

L’Italia ha milioni di adulti cresciuti senza servizi essenziali, ma con una famiglia presente, valori solidi e istruzione garantita.
Oggi, invece, l’assenza di acqua o luce viene talvolta interpretata come segnale di rischio, mentre in molte periferie degradate o in contesti di marginalità sociale — italiani o stranieri — le condizioni di vita disumane dei bambini non attirano lo stesso livello di attenzione.

È proprio su questa apparente incoerenza che si sta accendendo il dibattito.
E, al di là dei toni politici, la domanda centrale resta:
quali criteri usa lo Stato per decidere quando intervenire e quando no?