Molise: la resa silenziosa della politica e il diritto negato alla sanità

Sedici anni di commissariamento, tagli e rinvii. Ora è tempo che la politica batta i pugni a Roma e chieda giustizia per i molisani.

di Pietro Tonti 


Da sedici anni la sanità molisana vive sotto commissariamento.
Sedici anni in cui Roma decide, mentre il Molise subisce.
Sedici anni di tagli, piani di rientro, decreti e commissari che si avvicendano con lo stesso copione: ridurre la spesa, chiudere reparti, accorpare servizi.
Un tempo sufficiente non solo per risanare i conti — se davvero lo scopo fosse stato quello — ma per ricostruire da zero un intero sistema sanitario.
E invece, la politica regionale ha scelto di assistere in silenzio.

La sanità pubblica è diventata il simbolo dell’impotenza istituzionale.
Gli ospedali di Isernia e Termoli arrancano tra carenze di personale e strutture obsolete; il “Cardarelli” di Campobasso vive in perenne emergenza, con reparti ridotti e pazienti costretti a lunghi viaggi fuori regione.
Ogni anno il Molise spende milioni per la mobilità sanitaria passiva, ma nessun governo regionale è riuscito a invertire la rotta.
Anzi: i tagli sono stati accettati supinamente, come se la povertà di servizi fosse un destino e non una scelta politica.

È Roma che detta le regole — ma è il Molise che paga le conseguenze.
Ogni volta che un commissario straordinario annuncia un nuovo piano di razionalizzazione, la politica locale si limita a commentare, senza mai proporre un’alternativa concreta.
Il Consiglio Regionale, ridotto a un teatro di dichiarazioni, ha perso la capacità di incidere.
E così, il diritto alla salute è diventato un diritto geografico: chi può permetterselo, si cura altrove; chi non può, si rassegna.


Due mondi paralleli

Mentre le famiglie si indebitano per una risonanza o attendono mesi per una visita cardiologica, la politica molisana vive in un mondo parallelo, autoreferenziale e ovattato.
Ci si preoccupa più degli equilibri di Giunta che dei bilanci degli ospedali.
Si moltiplicano tavoli, comunicati, riunioni, ma raramente si ascolta chi la crisi la vive ogni giorno.

In Regione si parla ancora di “razionalizzazione”, di “efficientamento”, di “piani di rientro” — parole che suonano vuote a chi deve percorrere ottanta chilometri per un pronto soccorso aperto.
È un linguaggio tecnico che maschera una resa morale: la rinuncia a occuparsi dei bisogni essenziali della gente.
La distanza tra l’aula consiliare e la sala d’attesa di un ospedale non è mai stata così ampia.


Ora basta: il Molise batta i pugni a Roma

Dopo sedici anni di commissariamento, non è più tempo di attendere.
È tempo che la politica regionale ritrovi dignità, e che tutti gli eletti molisani — in Consiglio Regionale come in Parlamento — si uniscano in una sola voce per dire al Governo:

“Io non ci sto. Azzerate il debito che avete protratto in sedici anni e ridateci il diritto di curarci nella nostra terra.”

Non servono nuove promesse, ma un gesto politico chiaro, forte e condiviso.
Battere i pugni a Roma non significa sfidare lo Stato, ma difendere i cittadini.
Perché il Molise non chiede privilegi: chiede giustizia.
E la giustizia, dopo sedici anni di immobilismo, non può più attendere.


Un editoriale di Pietro Tonti Direttore di moliseprotagonista
(Riproduzione libera con citazione della fonte)