di Claudia Mistichelli
Isernia, un richiedente asilo punta il coltello alla gola di un’assistente della cooperativa che gestisce la struttura di accoglienza.
In breve, l’assistente è stata allontanata per qualche giorno di riposo e il migrante, altre volte ha dato in escandescenza, semplicemente trasferito in un altro centro. (fonte Quotidiano del Molise).
Per lo Stato italiano è reato o no puntare il coltello alla gola di qualcuno? Spesso e volentieri vengono promosse dai comuni o dalle associazioni, campagne di sensibilizzazioni contro il razzismo o a favore dell’integrazione dei migranti.
Eppure in Molise, tranne sporadiche e innocue manifestazioni contro l’insediamento dei centri di accoglienza, non ha registrato casi di violenza nei loro confronti. Da sempre il Molise ha accolto varie etnie rom, stabilizzate in maniera permanente nei nostri comuni, oltre ad Albanesi, Croati e Marocchini, anche loro, integrati senza problemi nella nostra piccola regione.
Prima di dare del razzista a chiunque bisognerebbe garantire controllo, giustizia e pene certe. Invece il popolo italiano subisce ingiustizie e reati di ogni genere, senza poter realmente far nulla. Delinquenti che girano indisturbati sul territorio nazionale, con semplici ammonizioni verbali, neanche stessimo parlando di una partita di pallone, che continuano a svolgere il proprio “mestiere” da una regione all’altra.
Purtroppo la precarietà nel mondo del lavoro e l’incertezza del futuro, genera un clima di insofferenza, a volte, indirizzata contro un’accoglienza smisurata e senza regole. Gli italiani spesso vengono chiamati razzisti, ma prima di affibbiare questa etichetta, si dovrebbe verificare le condizioni di un popolo esasperato e vessato.
Un esempio è il caso di Mario Della Guardia 103 ANNI, ex vigile urbano di Pescara. Aspetta ancora la pensione di invalidità. Tra i vari problemi burocratici, di presunti documenti smarriti, c’è il grande ostacolo di non poter ricevere a casa la visita fiscale per l’invalidità civile e l’accompagnamento. Il Signor Mario è allettato e impossibilitato a recarsi all’Inps, affermazioni supportate da certificati del medico di famiglia e di quello della Asl.
Quindi, per un italiano che fa richiesta della pensione sociale, scattano tutti i controlli di routine. Vengono setacciati i dati dell’Agenzia delle entrate, della Camera di commercio e dell’Inps e si verifica la regolarità della posizione di chi ha richiesto l’assegno sociale. Di contro, per un immigrato con permesso di soggiorno, bastano 10 anni in Italia e una semplice autocertificazione, con la quale dichiara un reddito minimo, per ritornare nel proprio paese di origine con la pensione sociale pagata dall’Italia.
Questo non è razzismo, è una guerra tra poveri. Anche i migranti sono vittime, come gli italiani, di un mondo che umanamente e moralmente va a rotoli. Un’accoglienza che favorisce il proliferare di corruzione e microcriminalità e che offre integrazione in un mondo del lavoro precario. Ovviamente è più facile zittire un popolo accusandolo di essere razzista, piuttosto che trovare soluzioni, mettendo in atto leggi giuste, regole o provvedimenti, contro chi delinque e chi si arricchisce sulle miserie umane.