Si attendeva da giorni una riflessione dall’Eurodeputato Aldo Patriciello sul momento storico dell’Europa in epoca del coronavirus ed è puntualmente arrivata.
Cosa sta facendo l’Europa? È questa la domanda che molti, se non tutti, si stanno ponendo in questi giorni di emergenza sanitaria. E la risposta che viene data a una tale domanda, il più delle volte, è categorica: poco o nulla. Eppure le cose non stanno esattamente così – afferma Patriciello – nonostante il comune sentire circa l’inadeguata risposta dell’Europa colga senza dubbio un elemento di verità, e cioè che l’Unione europea può e deve fare di più. Ma andiamo per gradi.
La pandemia con cui siamo costretti a fare i conti è una emergenza sanitaria pressoché senza precedenti nella storia recente. Ma la UE non ha poteri di agire su una pandemia. Non può chiudere le scuole, sospendere le partite di calcio o bloccare le città europee. Non può nemmeno chiudere i confini per frenare la diffusione del virus. Solo i singoli governi membri possono farlo. Ciò che l’UE può fare, invece, è frenare – e in futuro risolvere – l’impatto socioeconomico della pandemia, offrendo ai suoi Paesi flessibilità sul disavanzo dell’UE e le norme sugli aiuti di Stato. In effetti, è quello che ha fatto: la settimana scorsa, nel corso della seduta plenaria straordinaria del Parlamento europeo, abbiamo approvato il fondo di investimento di € 37 miliardi per contrastare gli effetti di Covid-19 sull’economia in tutto il continente.
Inoltre – continua l’eurodeputato molisano – la Commissione europea ha avviato un’operazione congiunta per l’acquisto di ventilatori, maschere e attrezzature mediche indispensabili in tutto il continente. La Bce, superando l’esitazione iniziale, ha avviato un programma di immissione di liquidità per la cifra non trascurabile di 750miliardi di euro. Si è proceduto, infine, a sospendere formalmente il Patto di stabilità e crescita, una decisione storica che permette ai governi di “pompare denaro finché serve”. Questo perché la salute dei conti pubblici è importante, ma lo è infinitamente di più quella dei cittadini europei.
C’è un’Europa che funziona, insomma. Eppure ciò non basta e, francamente, non può bastare. Serve uno scatto in più. Siamo dinanzi ad un’emergenza soprattutto europea, ed è quindi sul piano comunitario che vanno trovate e attuate le soluzioni. Serve dunque una solidarietà economica concreta, reale; che supporti l’inevitabile indebitamento con cui gli Stati europei saranno chiamati a fare i conti. Perché se c’è un modo per gli Stati europei di uscire da questa crisi limitando il più possibile i danni, ebbene, quel modo è insieme.
L’Europa ha tutti gli strumenti necessari per farlo. E bene ha fatto il Presidente Mattarella – afferma Patriciello – a ricordare che la vera partita si gioca in seno al Consiglio, ovvero l’istituzione composta dai singoli Stati nazionali: è questa, a ben vedere, l’Europa che non sta funzionando in questi giorni. Non occorre scendere nei dettagli delle varie soluzioni tecniche su cui si sta ragionando nelle ultime ore: che siano eurobond o interventi aggiuntivi della Bce poco importa. Ciò che è importante, invece, è che si agisca in fretta e in maniera unitaria. E questo compito spetta ai singoli governi che hanno il dovere di trovare soluzioni condivise e di superare le diverse posizioni pregiudiziali che al momento non hanno più ragion d’essere.
Perché – attenzione – in gioco c’è molto di più della tenuta economica dell’Eurozona. Se non siamo in grado di darci sostegno reciproco nemmeno nel bel mezzo della peggiore crisi dal dopoguerra, allora sarà difficile salvare non solo la zona Euro ma l’intera Unione europea. Come ho avuto modo di ribadire in più di un’occasione non è questo il momento del rigore.
La miopia con cui alcuni Stati nordeuropei difendono la necessità di mantenere condizionalità per l’accesso alle linee di credito è pericolosa e fuori dalla storia. Se c’è una cosa che questa crisi dovrebbe aver insegnato a tutti – conclude l’Eurodeputato molisano – è che, per usare le parole di un grande europeista, dinanzi a sfide globali esistono due tipi di Stati: quelli troppo piccoli per affrontare tali sfide e quelli che ancora non lo sanno.”