di Irnerio Musilli

La sanità pubblica in Molise si sta dissolvendo come neve al sole, la continua anemizzazione fatta di chiusure, tagli, riduzioni e ridimensionamenti genera sempre più numerose convenzioni con strutture della sanità privata.

Il mare di questo nuovo tipo di servizio sanitario sommerge problemi, carenze, insufficienze, inadeguatezze, poca chiarezza e scarsa trasparenza e invece fa emergere dubbi, incertezze, perplessità ed anomalie.

La popolazione molisana, già in partenza vorrebbe conoscere esattamente come si giudica una struttura sanitaria privata idonea alla convenzione in regime di servizio sanitario nazionale e con erogazione di denaro pubblico, altresì si vorrebbe sapere con quali criteri si definiscono i numeri di posti letto assegnati, con quali proporzioni e con quali percentuali; ed ancora, con quali altri metodi si giudicano le patologie e la gravità di esse in relazione alle caratteristiche degli stessi malati.

Inoltre, appare da subito evidente un’anomalia: una volta stipulata la convenzione e, subito dopo, con una mera azione tecnico commerciale erogati pagamenti con trasferimento di denaro pubblico dall’istituto bancario della regione Molise a quello della struttura, a questo punto le istituzioni con i loro organi di controllo sprofondano nel più vergognoso e disonesto letargo, guardandosi bene dal controllare, verificare, approfondire e porre in essere azioni ispettive per attenzionare qualsiasi tipo di servizio che in sinergia possa garantire ai malati molisani la più giusta vegenza degna di tal nome.

È d’obbligo precisare che, per azioni ispettive si intende quelle vere e non quelle preventivamente annunciate da telefonate di cortesia, in cui si indica data e ora dell’ispezione addirittura il nome dell’ispettore e persino qualche sua umana debolezza affinchè, qualora ce ne fosse bisogno, si possa innescare quell’oscuro e disonesto equilibrio tra concussione e corruzione da “Craxiana Milano da bere”.

Ora è opportuno rinfrescarci la memoria sulla vera e reale distinzione tra strutture pubbliche e strutture private. Il servizio pubblico (statale e regionale) è finanziato dalle entrate fiscali, cioè dal contributo economico di tutti i cittadini. A ciò si aggiunge un contributo versato allo Stato da parte dei singoli utenti di singoli servizi, cioè il “ticket” su alcune prestazioni: un ticket che peraltro non viene richiesto a chi ha un reddito molto basso oppure ha una malattia molto grave.

Questa è la sanità italiana pubblica, come nasce dalla riforma sanitaria del 1978 (e successive modificazioni). Un sistema sanitario che colloca l’Italia ai primi posti del mondo per efficacia, ma si caratterizza per una crescente difficoltà a chiudere i bilanci.

Esiste poi la medicina “privata”, che è finanziata dai pagamenti degli “utenti”.
Ma c’è un terzo tipo di strutture sanitarie: quelle che, nel parlare comune vengono chiamate “private”, anche se assorbono enormi quantità di finanziamenti pubblici: mi riferisco alle strutture “convenzionate”. Si tratta di entità giuridicamente “privatistiche”: hanno un proprio bilancio che, per definizione, chiude “in attivo”.

Gestiscono un budget finanziato in massima parte con denaro pubblico, attingendo a convenzioni con lo Stato o con le Regioni. A questo punto c’è da chiedersi: come mai lo Stato e le Regioni, pur avendo le proprie strutture, decidono di incanalare consistenti cifre di denaro pubblico verso alcuni “privati” affinchè eroghino prestazioni sanitarie e prestazioni diagnostiche?

Stipulare le convenzioni non è obbligatorio: è una libera scelta di ciascuna Regione. Perché lo fa? Come mai i denari che potrebbero servire per migliorare l’edilizia ospedaliera, per assumere un maggior numero di medici, per acquistare apparecchiature più moderne, vengono invece dirottati su ditte private? La risposta riguarda il rapporto tra l’assistenza sanitaria e la rappresentanza politica: evidentemente per il “privato” che vuole diventare e restare “convenzionato”, l’importante è avere una voce in capitolo negli organi di governo regionali.

I profitti estremamente elevati del privato-convenzionato in parte vengono usati per incentivare la soddisfazione degli utenti, rendendo le strutture accoglienti, eleganti, professionalmente qualificate. Il cittadino è indotto a credere che –essendo il “ticket” di importo uguale nel pubblico e nel convenzionato- sia meglio pagare quello stesso ticket per una prestazione veloce e qualificata come è quella delle strutture convenzionate. Ma il cittadino non si rende conto che, attraverso il meccanismo delle convenzioni, l’utente paga due volte: non solo il ticket ma anche il costo della convenzione che sta a carico di tutti i contribuenti.

Ma questo diventa un circolo vizioso: più aumentano i soldi versati al privato, più peggiora il funzionamento della struttura pubblica; nel contempo aumenta, negli utenti, la convinzione che il privato è più efficiente e più veloce del “pubblico”. Al meccanismo attraverso il quale il denaro pubblico si trasforma in profitti privati si accompagna un diffusissimo apprezzamento da parte dei cittadini.

Come uscire da questi equivoci che inducono la cittadinanza a credere che il “privato” è un bene e il “pubblico” è un disastro? Visto che i denari su cui si reggono le strutture convenzionate sono in larga misura soldi dei contribuenti, sarebbe giusto ed ovvio che i contribuenti stessi potessero avere conoscenza di come tali denari vengono usati, quanta parte dei ricavi derivanti dalle “convenzioni” sia impiegata nei miglioramenti professionali e quanta parte vada a finire tra i profitti dei proprietari delle strutture convenzionate.

Sarebbe normale e necessario che tutte le strutture convenzionate fossero obbligate a rendere pubblico il proprio bilancio.

I contribuenti dovrebbero avere il diritto di conoscere quale tariffa di denaro pubblico viene erogata alle strutture convenzionate per le diverse prestazioni: risonanze magnetiche, tac, esami del sangue e via dicendo. Emergerebbe allora che l’allungarsi delle liste di attesa nelle strutture pubbliche è “oro che cola” per le strutture private. Enormi cifre del bilancio regionale potrebbero essere risparmiate se le strutture diagnostiche della medicina pubblica avessero più personale e orari più prolungati.

Quindi si dimostra che, nell’attuale dibattito sulle inefficienze delle strutture sanitarie, non basta invocare una maggiore quantità di risorse stanziate nei bilanci dello Stato; occorre anche chiedersi: quanto si risparmierebbe se queste risorse non fluissero, come un fiume in piena, verso le strutture private?

Con quest’ultimo interrogativo si è delineato un quadro onesto ed obbiettivo della nostra sanità. Se i pifferai magici della politica regionale con i due commissari e gli allegri giullari degli alti vertici della ASREM pensassero di aver rivoluzionato la medicina in Molise, oppure ritenessero di aver costruito le basi per una sanità moderna e futuristica, stanno ancora una volta dimostrando che la loro celebrità è pari alle proprie incapacità.

La gente molisana non ha la memoria corta, infatti è ancora vivo il ricordo del caldo fastidioso dell’ultimo mese di agosto, quanto ne è stata oppressa tutta la popolazione, compreso chi soggiornava nell’altissima e vertiginosa Capracotta. Negli stessi giorni, pazienti gravemente malati , con diverse patologie, completamente allettati, alcuni di essi piagati, qualcun altro agonizzante, giacevano non solo affetti e afflitti nelle loro malattie ma anche dalla tremenda afa e dalla calura, senza avere il conforto di un alito di aria condizionata tra lo stupore indignato dei familiari e di tutti i visitatori.

Tutti i malati si chiedono come potessero stare tranquilli e con la coscienza apposto questi stessi personaggi, al sollievo della brezza marina, tra mojito, granita e cocco mentre i malati gravi giacevano nel bollitore oppure arrostivano sulla graticola delle loro convenzioni mal stipulate e ancora peggio controllate.

In questo drammatico spettacolo, il malato molisano equidistante dal decadimento fisico e dalla residua voglia di combattere, intravede all’orizzonte ancora un barlume di nota lieta: …da poche settimane il nuovo ministro della salute si chiama…SPERANZA.