di Paola Giaccio

Il bullismo e’ un fenomeno molto diffuso tra gli adolescenti e si diffonde sempre di piu’, soprattutto nelle scuole, luogo dove invece i ragazzi dovrebbero sentirsi al sicuro.

Nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.

Le prime avvisaglie si possono notare quando il bullo inizia ad appropriarsi degli oggetti degli altri o nel rovinarli, nel minacciare, insultare, offendere, prendere in giro o isolare qualcuno dal proprio gruppo di coetanei.

Il primo sbaglio è giudicarli superficialmente “piccoli scherzi ” soprattutto se tutto ciò si ripete quasi quotidianamente, senza punire adeguatamente il colpevole. “Il bullo” o ” la bulla” viene così temuto dai suoi coetanei, che hanno paura di raccontare le violenze fisiche o psicologiche subite favorendo il proseguimento di questi atteggiamenti persecutori.

Dobbiamo partire dal presupposto che l’aggressività fa parte della natura umana, ma si deve imparare a controllarla e a contenerla.

L’aggressività tra i ragazzi c’è sempre stata, però oggi il fenomeno è in aumento perché la società si è trasformata e i genitori sono sempre più indaffarati e distratti e si sottovaluta anche l’effetto che i media hanno sul bambino che viene lasciato indiscriminatamente davanti alla ricezione di messaggi continui senza una bussola per orientarsi.

Quindi, il bullismo non è un fenomeno causato solo dalla presenza dei ragazzi, ma anche dall’ ASSENZA degli adulti.

Un’assenza che non è solo fisica e formale, ma soprattutto educativa e sostanziale.

ASSENZA che risulta anche quando dei genitori non coinvolti, non sentono il DOVERE di denunciare episodi riferiti dal proprio figlio, testimoni di atti di bullismo verso coetanei.

Sarebbe necessario organizzare incontri in tutte le scuole, ma soprattutto in quelle primarie, almeno una volta a settimana per

SENSIBILIZZARE al problema.

Bisogna infatti agire prima del disagio, non quando il disagio è conclamato.

L’obiettivo è PREVENIRE.

Anche là dove non viene registrato, questi dibattiti possono essere un’occasione per poter insegnare l’arte di star bene con gli altri.

Non mi piace parlare di educazione all’affettività: le emozioni non si insegnano, si provano.

Quello che si può insegnare è come esprimere certi sentimenti, anche quando sono scomodi o mettono a rischio.

EDUCARE all’espressione dell’affettività, questo è possibile e necessario.

Non si può controllare tutto quello che avviene fuori dalla famiglia e dalla scuola perché il mondo non è ovattato, esente da pericoli, ma se solo i ragazzi apprendessero quando, come e dove chiedere un aiuto sarebbe un risultato importante.