Campobasso, 9 febbraio 2019 – Il Giorno del ricordo è innanzitutto il “giorno della resipiscenza”, una data che per gli italiani significa assumere la consapevolezza di aver commesso un errore, ammettere di aver perseverato in esso per quasi sessant’anni, essersi ravveduti solo nel 2004 con la legge n. 92 del 30 marzo, che ha istituzionalizzato il “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e per la concessione di un riconoscimento a favore dei congiunti degli infobati.
Solo a partire da febbraio del 2005, dunque, soltanto quattordici anni fa, gli italiani hanno iniziato a celebrare il Giorno del ricordo, in memoria delle migliaia di vittime massacrate e gettate impietosamente nelle cavità naturali delle aree carsiche della Venezia Giulia.
Foibe, infobati, esodo, vicende del confine orientale. E ancora: soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, soggetti sottoposti a torture, deportazione, prigionia…
Parole terribili che leggiamo nella citata legge, correlate a eventi tragici che non hanno permeato a sufficienza la conoscenza e la coscienza della collettività e dei quali, forse, ancora non si comprendono appieno il senso e la portata. Fatti che, per lunghissimi anni, sono stati avvolti da una cortina di colpevole silenzio e condannati all’oblio dalla storia e dalle istituzioni.
Nel 1945 il dramma della Shoah venne subito contestualizzato dall’evidenza dei campi di concentramento, dalla liberazione degli internati sopravvissuti e dalle macabre scoperte degli orrori compiuti dai nazisti.
Il processo di Norimberga, nel fare giustizia delle atrocità compiute da Hitler e dai seguaci della sua ideologia, comunicò al mondo intero la condanna unanime e senza appello nei confronti di quanti si erano resi responsabili di quei misfatti.
Sulle foibe, invece, non si accesero i riflettori della cronaca. Vi era l’esigenza da parte dei vincitori di relegare questa tragedia a un effetto collaterale della Seconda guerra mondiale. Si scelse la strada dell’omertà e, in molti casi, anche della negazione storica dell’accadimento di quei tristi eventi.
Eppure, indicibili nefandezze furono operate dalle milizie di Josip Broz, nome di battaglia “Tito”, sui nemici di guerra e su chiunque della popolazione civile fosse stato accusato di essere collaborazionista o nemico del popolo. Efferatezza e crudeltà della stessa natura di quella dei regimi fascisti e nazisti, combattuti e sconfitti.
Spiace constatare che ancora oggi, com’è avvenuto di recente, si generino polemiche su un giorno che dovrebbe essere celebrato all’insegna dell’unità nazionale e che ci siano ancora tentativi di ridimensionare o, addirittura, fornire una chiave di lettura diversa delle foibe.
I crimini di guerra non hanno colore politico e da qualunque parte provengano, o qualsiasi motivazione li abbia determinati, debbono essere fermamente condannati quali delitti contro l’umanità.
Donato Toma
Presidente Regione Molise