di Pietro Tonti
Ancora scossette di piccola magnitudo sull’area del nuovo cratere bassomolisano, non stiamo più qui a riportarle nei dettagli, tanto siete più bravi di noi a collegarvi con il vostro smartphone sul sito dell’Ingv e osservare in tempo reale cosa avviene.
Le decine di scosse registrate dal 14 agosto nel nuovo cratere di Larino, Guglionesi, Montecilfone tra 2.0 e 5.3 di magnitudo hanno anestetizzato la nostra propensione al reportage, a diffondere quello che accade e sta accadendo. Fino a qualche mese fa una scossetta di 2.5 di magnitudo avrebbe avuto l’attenzione dei quotidiani on-line immediatamente, poi dei telegiornali locali e all’indomani dei quotidiani cartacei, oggi no!
Per quale motivo ci chiediamo questo sta avvenendo? Siamo all’improvviso diventati sordi e ciechi? Non vogliamo destare ulteriori allarmi, o siamo fregati dal fatto che eventi piccoli oramai risultano insignificanti anche riportarli, tanto non provocano danni, mentre si resta in attesa di qualche cosa di grave, di una cronaca che facendo i dovuti scongiuri, ci auguriamo di non dover mai riportare?
Siamo convinti che è insito nell’umano agire non preoccuparsi più di tanto se un fattore si verifica di frequente, vediamo l’eruzione dell’Etna e gli abitanti di Catania, di Taormina o di Naxos non si stupiscono più di tanto dell’eruzione, l’Etna frequentemente erutta, la popolazione quindi è abituata a subirne le conseguenze, se pur minime.
Nel nostro caso il terremoto non è prevedibile come non lo è un’eruzione, ma mentre la lava ha un suo percorso e si controlla, una scossa di oltre 5.0 gradi può essere distruttiva e gli allarmi di uno sciame sismico a livello statistico, precursore di scosse probabili di intensità maggiore dovrebbero incutere timori e allarmi, ma oramai l’oppiaceo anestetizzante dell’abitudine ci ha pervaso.
Non riportiamo più le scossette, tanto sono quotidiane, ma da buoni molisani non abbassiamo la guardia, siamo in zona rossa, con un nuovo cratere che va ad aggiungersi a quello noto di San Giuliano di Puglia e alla tanto temuta faglia del Matese responsabile nei secoli di distruzione e morte tra la popolazione molisana.
L’allarme dovrebbe essere correlato dal vivere adeguatamente il rischio sismico nella maniera più sicura possibile, mutuando magari dai nipponici abituati a terremoti di grande intensità a gestire il vivere quotidiano in strutture abitabili antisismiche, viaggiando su strade antisismiche, su viadotti antisismici, senza timori ulteriori.
I giapponesi sono abituati ad affrontare scientificamente il terremoto, con consapevolezza, equilibrio e tecnologia sempre adeguata. Certo non abbiamo gli occhi a mandorla e non viviamo nel sol levante, ma non è da oggi che abbiamo la certezza del rischio terremoto nel Molise, per quale motivo allora si è permesso di realizzare un viadotto, tra l’altro il più lungo d’Europa immerso nell’acqua, senza mai collaudarlo?
Per quale motivo ci ostiniamo ad abitare in centri storici medioevali, i quali in caso di una forte scossa si sbriciolerebbero in macerie senza alcun dubbio?
Per quale motivo si è costruito in decenni palazzoni di sei piani in zone a rischio senza il minimo di garanzia antisismica?
Per quale motivo a livello costruttivo continuiamo a dare scarso peso alla caducità di una terra, in cui nei secoli si sono contati centinaia di morti sotto le macerie?
Su questa realtà possiamo confrontarci, addurre e magari scaricare le colpe su chi ci ha governato nel passato e nel presente, ma la verità assoluta è dettata da quell’inedia, quella scarsa volontà che arretra ogni giusto pensiero buttandolo nel file più recondito del cervello, dimenticando in fretta le brutture esistenziali.
Quante volte avrete sentito da chi abita magari al quinto piano di un appartamento, senza consapevolezza e la minima sicurezza che quello stabile sia davvero antisismico, dichiarare: “io resto qui quando c’è il terremoto non ho paura, tanto se scappo dove vado?”
Si, affidiamo al fato le nostre vite, continuiamo a farlo in una maniera stolta e avventata, senza programmare, senza impegno tecnologico, senza stanziare i fondi necessari a invertire la tendenza al disastro. Tanto poi si dimentica, si anestetizza il dolore e si riapre la speranza che non debba più accadere.
Ci salutiamo con una massima attribuita ad Albert Einstein: Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima.