1° maggio festa non del lavoro, ma delle lavoratrici e dei lavoratori

 

Se il 1 maggio fosse “La festa del Lavoro” sarebbe davvero una festa inutile. Specie per noi molisani: qui  di lavoro non ce n’è molto, da anni sentiamo ricette mirabolanti su come si potrebbe creare, moltiplicare, favorire, ci viene detto che fra poco cambierà tutto, che verranno gli allevatori di pollame, che il turismo sta per ripartire, che i centri commerciali sorgeranno come funghi, e che i consumi aumenteranno, che il denaro circolerà e che sarà tutto un produrre, far viaggiare merci e persone (sulle nostre strade…). Il lavoro, per l’appunto. E chi ce l’ha se lo tiene stretto, anche se magari è un lavoro sfruttato e sottopagato, un lavoro non sicuro, né come tempo di durata né come sicurezza che salvaguarda la salute e l’integrità psicofisica degli addetti. Un lavoro che troppo spesso, anche da noi ma soprattutto da noi, è precario, nell’edilizia come nei servizi, nelle giornate agricole dei braccianti come nei lavoretti a cui aspirano i ragazzi che resistono alla tentazione di emigrare lontano e cercare altrove la possibilità di una vita dignitosa e con una qualche prospettiva. Precario persino nel pubblico impiego, fra una sanità moribonda e Comuni a corto di risorse che non riescono a programmare più in là di qualche mese.

Il lavoro in Molise: una speranza, un’illusione, una desolazione, una disperazione. Analizzare i dati, parlare con le persone, uscire da Via Genova e ascoltare quello che davvero dicono, pensano, sperano, piangono le nostre genti.

Meno male che il 1° Maggio è “La festa dei lavoratori” (meglio sarebbe dire “La festa delle lavoratrici e dei lavoratori”, visto che senza le donne il Molise si fermerebbe davvero, nelle famiglie come nei paesi, nella società che fatica a reinventarsi una socialità e anche, per l’appunto, nel mondo del lavoro). E, allora, così ha un senso, la giornata.

Perché sono le lavoratrici ed i lavoratori che stanno lottando in prima linea negli ospedali, stremati da questa pandemia, per salvare vite umane e sono loro, ovunque operino, che una qualche ricchezza la producono ancora, con fatica, impegno, attaccamento. Sono le lavoratrici ed i lavoratori che reggono una scuola a distanza o in presenza e vivo, quel laboratorio di creatività e formazione che è la nostra Università. Sono le lavoratrici ed i lavoratori che tengono in piedi un territorio che altrimenti le frane avrebbero cancellato (e meno male che è stato un inverno con non molta neve, sperando che non ci sia un’estate con troppi incendi), che garantiscono il trasporto pubblico, che fanno ancora un po’ di comunicazione, che tirano su le saracinesche dei piccoli negozi a presidio dei contesti urbani e che il grande attacco della grande distribuzione (e la totale assenza di una politica del commercio) non ha ancora cancellato. E poi i lavoratori del manifatturiero metalmeccanico, della chimica e dell’edilizia, ed i lavoratori della agricoltura con quel che ci mettono di rischio e di fatica. Perché il lavoro è anche fatica e sudore, soprattutto nella grande fabbrica, nei campi e nei piccoli contesti artigianali.

Ed ancora: quelli che lavoratori sono stati, spesso per tanti anni, talvolta persino in emigrazione, e che oggi “si godono il meritato riposo” che per la verità vuol dire tirare avanti con pensioni che sono fra le più modeste nelle statistiche nazionali. Pensioni che poi servono anche per far studiare i nipoti o sorreggere le famiglie dei figli che troppo spesso sono in cassa integrazione, quando anche la cassa integrazione non è già finita da tempo. E, allora, anche festa di quelle lavoratrici e lavoratori che, sospesi dalla attività perché di qui sta passando il virus e la mai superata crisi economica sociale e produttiva frutto di scelte sbagliate del passato, perché da noi sviluppo avicolo, tessile, saccarifero, automotive sembrano un lontano ricordo  e  siamo costretti a rincorrere e tamponare le diverse crisi aziendali con qualche ammortizzatore sociale che resta sempre più un miraggio, in attesa che qualcosa prima o poi riparta.

Primo maggio festa dei lavoratori, di ambo i sessi, quelli che lo sono, quelli che lo sono stati, quelli che sperano di ricominciare presto ad esserlo e quelli che sul mercato delle braccia e delle menti si affacciano solo ora. I lavoratori, portatori di quei valori di impegno e sacrificio, di orgoglio e di solidarietà, di compattezza e di coesione (perché le grandi battaglie dei lavoratori sono sempre state battaglie collettive! Successi di tutti, spesso, sconfitte che si sono superate proprio perché distribuite su tutte le loro spalle). Se solo si ascoltassero di più le loro esperienze, se loro e i loro rappresentanti sindacali venissero un po’ più coinvolti nelle scelte e nel disegnare il futuro (intendiamo in modo non rituale e vuoto come altri intendono e realizzano…). Se solo le lavoratrici ed i lavoratori ricevessero non soltanto la giusta busta paga ma anche un attestato di apprezzamento e riconoscenza. Sarebbe un bell’inizio ascoltare impegni magari proprio in occasione di questa ricorrenza che, per non essere una vuota circostanza solo celebrativa, deve mettere i bisogni, le istanze, l’orgoglio, l’impegno, le volontà, le esperienze, le intelligenze, la determinazione delle lavoratrici e dei lavoratori al centro dell’attenzione di tutti, dei politici nazionali o locali che siano, delle autorità civile e religiose, della stampa e degli strumenti della comunicazione, delle nostre famiglie e della rete di amicizie e di relazioni.

Ecco, questo vorremmo, questo rivendichiamo, questo chiediamo anche nel Flash Mob simbolico delle 10,30 dinnanzi alla Prefettura di Campobasso in questo 1° Maggio dell’anno di grazia 2021.

Viva il 1° Maggio, viva le lavoratrici ed i lavoratori tutti, viva il Molise che crede nel lavoro e che presta attenzione a quello che l’intero mondo di lavoro ha da dire.